von mas 14.09.2017 06:57 Uhr

Briciole di Memoria 30 : 100 anni fa la battaglia di Carzano – 1° parte

Massimo Pasqualini lascia spazio a Luigi Sardi. Dalla penna del Giornalista, narratore della Vera Storia, il racconto di un momento di guerra: 100 anni fa, a Carzano, in Valsugana.

Settembre del 1917. La guerra che si volle chiamare Grande, infuria ormai da 3 anni, portando a proporzioni gigantesche le sofferenze nelle trincee e nelle città  assediate dalla fame e dalla paura.

Armate immense si fronteggiano, quasi immobili, imprigionate nella massa dei reticolati, in un’Europa che è un cimitero e nei mari divenuti tombe senza fine. In quel mese, sul fronte tirolese,  in Valsugana, a Carzano, sulle sponde del torrente Maso, stava per succedere qualche cosa di incredibile. Nella notte fra il 17 e il 18 settembre, il Regio Esercito italiano era sul punto di cogliere una vittoria forse definitiva per il tradimento di ufficiali e graduati sloveni e cechi che indossavano la divisa dell’esercito austro-ungarico ma ben decisi a staccare, nel nome dell’irredentismo, i loro popoli dall’Austria.

Dopo la morte di Francesco Giuseppe,  che con il suo carisma teneva uniti le genti nel cuore dell’Europa, a Carzano ci si trova di fronte al primo, vero sintomo di disfacimento dell’Impero, soprattutto alla rivolta di militari cechi. Per una notte,  quel minuscolo paese ridotto in macerie, fu la porta spalancata sul velo di rincalzi lasciati fra Borgo e Trento mentre la massa delle armate austriache e germaniche, le artiglierie più possenti, gli aerei più moderni si stavano ammassando a Caporetto.

Si profilava un successo che in poche ore avrebbe potuto portare i soldati italiani, da due anni inchiodati dagli austriaci nell’orrore delle trincee, a Trento. Mai, su nessun fronte di quella guerra, un esercito si trovò davanti ad un’occasione così straordinaria, ad un passo da una vittoria che, forse, poteva essere addirittura decisiva.

In quell’estate che stava finendo, dopo il massacro dell’Ortigara, l’ecatombe sull’altipiano della Bainsizza ai piedi dell’Hermada, la pietraia che secondo la leggenda non venne creata da Dio ma dal Demonio, gli Italiani potevano entrare nelle città  simbolo della lunghissima stagione risorgimentale. Ecco la storia di quello che nella leggenda viene chiamato il “sogno di Carzano”. carz.JPG

Dopo un secolo, torna a riemergere per raccontare la battaglia della notte del 17 settembre di cento anni fa che segnò il culmine delle cospirazioni serpeggiate fra le file delle armate austro ungariche e la tragica delusione del Regio Esercito

che non seppe approfittare di un’opportunità  senza precedenti. Solo 37 giorni dopo Carzano, ci sarà  il giorno di Caporetto, un nome ben presente nella memoria collettiva, una data tragica, nella storia d’Italia.

Due i protagonisti: Ljudevit Pivko ufficiale pluridecorato dell’esercito austro ungarico e nello stesso tempo traditore della monarchia asburgica che resta, al pari di Cesare Battisti,  il socialista, il giornalista in Trento e deputato al Parlamento di Vienna,  un autentico enigma storico;  e Cesare Pettorelli Lalatta,  ufficiale del nascente Servizio Informazioni Militari del Regio Esercito. Due personaggi eccezionali.

Pivko era nato nel 1880 a Ptuj, nel cuore della Stiria slovena e insegnante a Maribor era entrato a far parte dello Sokol una società  che oltre allo sport coltivava, in un crescendo di fanatismo, la difesa delle tradizioni nazionali e dell’indipendenza. Come Battisti, fin da giovanissimo manifestò una chiara tendenza irredentista.  Voleva la sua Slovenia indipendente,  “liberata” dal dominio asburgico. Pivko era figlio di un popolo dalle diverse anime e da contrastanti quanto indomiti istinti che,  ufficiale dell’esercito dell’Imperatore, tradì l’Austria.

Consegnò agli Italiani i piani per varcare tutte le difese a protezione del tratto di trincee di fronte a Carzano , reticolati percorsi dalla corrente elettrica, cavalli di Frisia, trappole esplosive, nidi di mitragliatrici. Spostò sentinelle, tagliò le linee telefoniche, sottrasse persino le pistole lanciarazzi che avrebbero potuto dare l’allarme  e mescolò, ricevute dagli italiani, robuste dosi di oppio al rancio della sera che addormentarono i soldati bosniaci del reggimento che comandava. A guerra finita, in Italia venne dimenticato perché si volle nascondere l’insuccesso del Regio Esercito e perché fra gli ufficiali di quell’epoca c’era molta diffidenza per lo spionaggio ritenuto certamente utile ma non decoroso, soprattutto antipatia nei confronti di chi aveva tradito la propria bandiera. In verità  é sempre difficile stabilire chi sia l’eroe e chi il traditore. Pjvko, a proposito di Carzano, scrisse: “Le imprese militari vengono apprezzate per i risultati, ma noi carzanesi (così si definivano i congiurati sopravvissuti, nda) non abbiamo avuto successo”

carz5Con lui il maggiore del Regio Esercito Cesare Pettorelli Lalatta, ufficiale dei servizi segreti con “Finzi” come nome di copertura, l’uomo che aveva portato Cesare Battisti a Verona, a Forte Proccolo, nella base del Servizio informazioni d’armata, il futuro Sim, per interrogare prigionieri e disertori austriaci e che, nel giugno del 1916 fu uno degli ufficiali, con il colonnello Tullio Marchetti e Ugo Cavallero, braccio destro del generale Luigi Cadorna comandante supremo dell’Esercito italiano, a permettere il trasferimento del deputato di Trento da Verona alla prima linea, da Forte Proccolo al Monte Trappola, dalla sicurezza di un lavoro d’ufficio all’orrore di quella trincea dove venne catturato.  A Carzano, “Finzi” ascoltò, , raccolse e comprese il segnale di Pjvko, lo sviluppò, lo ampliò, entrò nelle linee austriache per sincerarsi che quella non fosse una trappola ed elaborò quel piano che il generale Donato Etna, figlio naturale del Re Vittorio Emanuele II non riuscì a comprendere e nel timore,  del resto comprensibile,  di trovarsi di fronte ad una imboscata, fece fallire.

Eppure il piano era stato approvato, con entusiasmo, da Cadorna. Dal 24 maggio del Quindici, il generalissimo aveva collezionato gravi insuccessi; aveva trascurato il lavoro degli informatori, soprattutto aveva fatto mettere alla porta Cesare Battisti che tentava di informarlo su quello che stava per accadere sugli Altipiani. Da disertori e prigionieri, Battisti aveva appreso che si stava preparando quella possente offensiva passata alla storia come Strafexpedition, aveva raccolto ogni particolare ma non venne creduto e quando gli austriaci, sfondate le linee italiane,  occuparono Asiago e raggiunsero la periferia di Schio, l’irredentista divenne ingombrante. Cadorna aveva garantito che il nemico non avrebbe mai messo piede sul sacro suolo della Patria e mentre fra il 15 maggio e il 25 giugno del 1916 si scongiurava il disastro militare con il sacrificio di centomila soldati, c’era il rischio che una dichiarazione di Battisti potesse innescare un’inchiesta militare. Comunque Cadorna approvò il piano d’attacco di  “Finzi” e addirittura fece preparare il suo treno personale per seguire l’avanzata degli italiani lungo la Valsugana, da Borgo verso Trento. Se a Carzano si fosse verificato solamente un significativo sfondamento, forse 37 giorni dopo non ci sarebbe stata la disfatta di Caporetto.

 

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