NO alla scuola dell’infanzia a luglio

Si è tenuta nei giorni scorsi a Palazzo Trentini, sede del Consiglio Provinciale, l’audizione pubblica dei proponenti del disegno di legge d’iniziativa popolare n. 41 „Modificazioni dell’articolo 5 della legge provinciale sulle scuole dell’infanzia 1977“ sulla cancellazione dell’apertura a luglio delle scuole dell’infanzia. Il presidente del Consiglio Provinciale ha portato il suo saluto, ricordando che il testo è attualmente all’esame della V Commissione consiliare insieme al ddl 20 al ddl 32.
A introdurre il pomeriggio Michela Lupi, prima firmataria del ddl.41 che hainvitato il mondo politico all’ascolto: “Spero che questa audizione possa offrire il proprio contributo affinché le scelte possano essere il più possibile indirizzate al bene di chi la scuola la vive da dentro, quotidianamente, come bambini, docenti ed operatori”.
Ad intervenire alcuni membri del comitato: Lorenzo Varaldo, dirigente dell’Istituto comprensivo „Sibilla Aleramo“ di Torino e fondatore del Manifesto dei 500 per la difesa della scuola pubblica; le insegnanti della scuola dell’infanzia Donatella Martini, Elena Scartezzini, Alice Daldosso e della scuola primaria Gaja Rossi.
Varaldo ha ripercorso le tappe della scuola dell’infanzia, partita come asilo, poi diventata scuola materna e oggi, appunto, scuola dell’infanzia. Varaldo riprende il termine “asilo” perché nell’immaginario di molte famiglie, la questione dell’accudimento e dell’assistenza continua a prevalere. “Se diciamo che la scuola dell’infanzia è equiparata agli altri ordini di scuola nell’impegno dei docenti, nel loro riconoscimento sociale, nel sottolineare l’importanza di ciò che si apprende in questa fascia d’età, tutto ciò non può essere detto solo nei programmi o nei convegni, ma deve diventare patrimonio comune. Per farlo – conclude il dirigente – è necessario che la scuola dell’infanzia sia pienamente “istituzione”, senza confondere i piani del servizio con quelli dell’istruzione”.
Donatella Martini si è soffermata sulla scuola dell’infanzia intesa come “spazio educativo e non come servizio di conciliazione”. “Quello della scuola dell’Infanzia – ha rilevato Martini – è il primo gradino di un lungo percorso educativo che ha tra i suoi obbiettivi quello di collaborare alla formazione dei cittadini di domani, in grado di pensare e agire con spirito critico. Martini ha messo in evidenza la relazione scuola-famiglia. “Rispondere ai bisogni delle famiglie, allungando il percorso scolastico e sottraendo la possibilità di attività conciliative più adeguate e rispettose dei bisogni reali dei bambini, non è stata la migliore tra le scelte possibili”. Per Martini si devono trovare risorse per offerte formative capaci di rispondere alle necessità delle famiglie lavoratrici nel rispetto dei bisogni e diritti del bambino. “Dopo un percorso di scuola di dieci mesi – ha proseguito l’insegnante – non possiamo pensare che l’unica opzione da offrire nel tempo estivo, sia quella che vede i bambini nello stesso edificio scolastico. In questo scenario di un’identità scolastica sempre più assistenziale, quella che sta rischiando di scomparire è la scuola come luogo educativo per eccellenza, scalzata da un modello apparentemente più adatto, sicuramente più coerente per i nostri tempi: la scuola azienda”.
Al centro della riflessione di Elena Scartezzini il benessere degli insegnanti e la qualità dell’apprendimento. “È ormai evidente – ha detto Scartezzini – che la qualità dell’insegnamento e il benessere degli insegnanti sono strettamente interconnessi. Un insegnante supportato, valorizzato e in equilibrio è in grado di creare un ambiente di apprendimento positivo e stimolante per i propri alunni. Tuttavia, la complessità emotiva del lavoro educativo, le molteplici relazioni con genitori, colleghi e alunni e le sfide quotidiane richiedono un enorme dispendio di energie fisiche e psicologiche. In particolare, gli insegnanti della scuola dell’infanzia sono particolarmente esposti al rischio di stress e burnout”. L’insegnante ha messo in evidenza un servizio, quello dell‘insegnamento, spostato verso un aspetto conciliativo e non educativo. “Lavorare con 25 bambini per 11 mesi è palesemente un lavoro dispendioso. Pertanto, è essenziale che gli insegnanti abbiano la possibilità di rigenerare le proprie energie, attraverso periodi di riposo adeguati. Il riposo estivo è una necessità per prevenire il burnout e garantire un ambiente di apprendimento di qualità. Allo stesso modo, è fondamentale che anche i bambini abbiano il tempo necessario per ristabilire il proprio equilibrio emotivo”. Ancora, “la possibilità per gli insegnanti di avere un periodo di studio estivo in cui, ad esempio, frequentare corsi di lingua all’estero o altri seminari che ne accrescono il valore professionale”. E l’affermazione che le riforme sono giustificate con la motivazione „lo richiedono le famiglie“, Scartezzini rileva “le famiglie desiderano anche una scuola di qualità ed eccellenza per i loro figli”.
A scattare la fotografia professionale ed economica degli insegnanti nella scuola dell’infanzia trentina è stata Alice Daldosso. L’insegnante ha voluto affrontare il tema dell’importanza che riveste la scuola dell’infanzia nella costruzione della società del domani affrontando una criticità che da qualche anno si registra nelle scuole dell’infanzia. “Insegnare nella scuola dell’infanzia sta diventando sempre meno attrattivo e molte insegnanti riconsiderano la possibilità di virare il percorso professionale sulla scuola primaria o nelle scuole dell’infanzia fuori provincia – ha spiegato Daldosso -. A questa scelta concorrono diversi fattori, tra questi un diverso trattamento tra insegnanti della scuola dell’infanzia e insegnanti della scuola primaria, il precariato storico, la ricostruzione della carriera”. Eppure competenze e qualifiche non mancano: per poter lavorare come insegnanti nelle scuole dell’infanzia è necessario possedere un laurea specifica, adempiere a un percorso di studi che fornisce competenze in ambito psico-pedagogico e didattico, effettuare un tirocinio di quattro anni. “Da qualche anno – ha evidenziato Daldosso – per tamponare la scarsità di insegnanti/supplenti, la Provincia ha concesso a persone non aventi i titoli abilitanti all’insegnamento nelle scuole dell’infanzia di potervi accedere per sostituzioni del personale, reclutandole nella categoria „senza titoli“. Non si tratta di ritenere un percorso di studi migliore di altri, semplicemente sono percorsi diversi che formano figure professionali specifiche e per questo non intercambiabili”.
Gaja Rossi, 26 anni, a luglio 2022 si laurea in Scienze della Formazione Primaria, a settembre dello stesso anno entra con un ruolo part-time di insegnante nel posticipo alla scuola dell’infanzia. “Accetto sperando di poter aumentare l’orario in assenza delle colleghe ma vengono chiamate altre persone, anche senza titoli, a coprire le insegnanti al mattino – ha raccontato Rossi – . Mi viene spiegato che il personale non formato preferiscono metterlo al mattino, così viene affiancato da colleghe esperte e non entra direttamente in contatto con i genitori. Così con la mia laurea magistrale resto part-time al posticipo mentre il tempo pieno della mattina viene coperto da personale senza titolo e adeguata preparazione”. Quali sono le mie prospettive? Si chiede la giovane insegnante. “Quando mi sono iscritta all’università la scuola dell’infanzia trentina era ammirata come scuola all’avanguardia che riusciva a dare valore al bambino in quanto tale, sfruttando spazi e risorse del territorio. Tenere aperte le scuole a luglio così come sono non è fattibile. Se per costruire una casa ci si rivolge a geometri e architetti, perché per fare una scuola di qualità non vengono interpellati i professionisti del settore?”.
A chiudere Michela Lupi: “ Continueremo a portare avanti le nostre posizioni al di là del ddl, ci confronteremo facendo le dovute valutazioni”. Lupi ha poi evidenziato titoli, lauree e competenze delle insegnanti della scuola dell’infanzia “ancora troppo spesso sottovalutate”.
