von mas 20.12.2024 11:00 Uhr

Pedemonte e Casotto, tra passato e futuro – 2°

“Le nostre radici – Brancafora” è un libro apparso nel 1997 e scritto da Mons. Alberto Carotta (nato a Pedemonte e scomparso nel 2020), ormai esaurito. In previsione di una ristampa – ci ha raccontato Alberto Baldessari del comitato “Torniamo in Trentino”, nato appunto con lo scopo di chiedere il ritorno alla Provincia di Trento  delle Comunità di Pedemonte (con Casotto), Magasa e  Valvestino, “cacciate” in epoca fascista – Don Carotta gli aveva chiesto di scrivere un appendice al libro, sull’unico avvenimento di portata storica avvenuto dal tempo della prima edizione, cioè la richiesta di tornare in Trentino.  Alberto Baldessari ha messo il suo testo a disposizione della redazione di UT24: eccone oggi la SECONDA PARTE

 

Dettaglio dalla copertina del libro di Mons. Alberto Carotta "Le nostre radici - Brancafora"

Quando l’idea di una ristampa del libro “Le nostre radici – Brancafora” stava prendendo forma, Mons. Alberto Carotta aveva ripetutamente espresso la volontà di preservarne il carattere storico ed a tal proposito mi aveva chiesto di occuparmi della questione riguardante il distacco di Pedemonte e Casotto dal Trentino e la successiva richiesta di ritornare nella provincia di origine. Purtroppo egli se ne è andato improvvisamente prima che il tutto potesse prendere forma concreta.

Mi accingo a farlo ora – scrive Alberto Baldessari –  riepilogando le tappe più importanti di una vicenda che purtroppo non è ancora giunta a conclusione.

Dal 1929 al 1980

Analoga sorte toccò anche ad alcuni comuni oggi corrispondenti a Valvestino e Magasa, che nel 1934 vennero arbitrariamente, e contro il parere della popolazione, aggregati alla provincia di Brescia.

Nel 1940, con un ulteriore provvedimento autoritario, vennero soppressi i comuni di Casotto e Forni, che assieme a San Pietro e Pedescala, frazioni di Rotzo, andarono a formare il neo costituito comune di Valdastico: per la prima volta nella Storia Pedemonte e Casotto, che per secoli avevano condiviso il medesimo destino, venivano separati. Per Casotto fu un’ulteriore batosta, come precisò Luigi Serafini nella summenzionata missiva alla Direzione della Südtiroler Volkspartei «Tale provvedimento, emanato in clima fascista è stato imposto, senza tenere conto delle ripetute proteste della comunità casottana, la quale era conscia dei danni ingenti che dovevano derivarle, proteste che sono rimaste lettera morta. Il patrimonio boschivo di Casotto, atto a sopperire alle necessità del proprio Comune, dovette colmare anche le passività delle altre frazioni del Comune di Valdastico, e per questo fatto per Casotto stessa ebbe inizio la corsa sfrenata alla deriva, al progressivo sistematico impoverimento» [6].

Immediatamente dopo l’8 settembre 1943 i Casottani tentarono coraggiosamente di ricostituire un comune autonomo, quale presupposto indispensabile per ritornare in Trentino e non desistettero nel loro intento neppure di fronte alla minaccia di spedire in Germania tutti i capifamiglia «Corse così più volte la voce che con l’annessione di Casotto alla Provincia di Trento i Capifamiglia verrebbero deportati in Germania, che tutti gli uomini verrebbero costretti a servizio militare in massa, che le famiglie verrebbero private anche del necessario, insomma si cercò di mettere il timore in mezzo alla povera gente quasi sia stato commesso un grave delitto con la richiesta inoltrata» [7].

Seguì un periodo in cui Pedemonte, e Casotto oramai semplice frazione di Valdastico, inoltrarono richieste e suppliche ad ogni livello politico, sia provinciale sia nazionale fino al massimo grado governativo; ci si rivolse al comune di Valdastico, alla Prefettura di Vicenza, al Capo della Provincia di Trento, al Ministero dell’Interno, al Presidente del Consiglio ecc… ma inutilmente. Ci si appoggiò pure al movimento autonomista trentino A.S.A.R. (Associazione Studi Autonomistici Regionali) che chiedeva l’Autonomia integrale, contava oltre 100.000 tesserati e nel proprio Statuto prevedeva il rientro dei territori amputati in epoca fascista. Nel 1947 a Pedemonte e Casotto l’A.S.A.R. contava ben 402 iscritti! Una testimonianza di quel periodo travagliato per la nostra gente si trova sulla facciata di una casa della frazione Ciéchi/i Ziéchi nella località i Bìsnar dove si può ancora leggere la scritta «E W TRENTO E W L’ASAR».

 

Per un po’ sembrava che le cose potessero volgersi al meglio, e qualche barlume di speranza sembrava animare gli animi.

La prima bozza di Statuto della Regione stesa nel 1945 dall’avvocato liberale Francesco Menestrina per conto del C.L.N. provinciale, al primo articolo recitava «Entro l’unità politica dello Stato Italiano il territorio delle Province di Trento e di Bolzano, del mandamento di Cortina d’Ampezzo e dei Comuni di Val d’Astico [cioè Pedemonte e Casotto n.d.a.] e di Val Vestino, in considerazione delle sue particolari condizioni geografiche, economiche, storiche e linguistiche, viene costituito in circoscrizione autonoma con capoluogo Trento e con la denominazione di “Regione Tridentina”».

Purtroppo nella stesura finale della Costituzione questo venne ignorato, anche se dobbiamo ricordare un tentativo di rimediare in extremis a questa colpevole negligenza, ad opera soprattutto del parlamentare trentino Luigi Carbonari. In sede di Assemblea Costituente, nel corso della seduta pomeridiana del 29 gennaio 1948, assieme agli Onorevoli Paris, Conti, Zaccarini e Conci, propose il seguente articolo aggiuntivo «Entro un anno dalla entrata in vigore del presente statuto, i comuni già appartenenti alla Venezia Tridentina, secondo la legge di annessione del 26 settembre 1920, n. 1322, possono, con referendum e con decreto del Ministro dell’Interno, sentito il Consiglio dei Ministri, essere riaggregati alla provincia di Trento». La proposta purtroppo non passò, ed è oltremodo amaro ed avvilente capirne il perché dalle parole che il Sen. Paolo Emilio Taviani ha trascritto nelle sue memorie «La proposta (…) giunse in aula sostenuta da una larga parte della DC, su iniziativa dei trentini. Io ero vicesegretario nazionale della DC, giorno e notte impegnato (…) tuttavia su questo tema mi intestardii. Misi insieme una decina di deputati democristiani miei amici che vigilavano in aula e mi avvertivano al momento dei voti. Insieme votammo con le sinistre e con la destra contro la proposta democristiana. Cortina [con Pedemonte e Casotto n.d.a.] rimase così nella regione veneta» [8].

Ecco, ora lo sappiamo: nel 1948 Pedemonte e Casotto videro sfumare il loro diritto di tornare in Trentino per un cinico gioco politico che vide il vicesegretario nazionale della Democrazia Cristiana chiamare a raccolta parlamentari di ogni colore pur di non far passare la proposta nata nel suo stesso partito!

Due giorni dopo il settimanale politico economico dell’A.S.A.R. La nostra Autonomia titolava a tutta pagina «AUTONOMIA REGIONALE NON INTEGRALE da Ala al Brennero – Regione unica con due territori – Cortina e Casotto Pedemonte ancora esclusi».

Il 13 dicembre 1948 la questione venne posta all’attenzione della prima riunione del Consiglio Regionale, allorché Remo Defant fece un applauditissimo intervento dicendo «Ritengo sia opportuno ricordare che vi sono popolazioni fuori della nostra Regione che desiderano rientrare. Sono Cortina d’Ampezzo, Pieve di Livinallongo, Santa Lucia, Casotto, Pedemonte e Valvestino. Queste hanno espresso in numerosissime riunioni il desiderio di far parte della nostra Regione. Sono convinto che l’Assemblea adotterà la procedura prevista dagli articoli 132 e 133 della Costituzione a far sì che il desiderio vivo di queste popolazioni sia al più presto esaudito». Il Presidente dell’Assemblea Luigi Menapace assicurò il massimo interessamento dichiarando che «appena possibile si sarebbe data forma e sostanza al desiderio delle popolazioni appoggiando moralmente le procedure da avviare con il consenso del Consiglio Regionale» (Verbale della Seduta del 13 dicembre 1948, pag. 11).

Oggi possiamo ben dire che le sue parole sono cadute nel vuoto.

 

Seguirono anni difficili nei quali il nostro paese fu afflitto dalla piaga dell’emigrazione, la questione passò in second’ordine e nel 1965 veniva interrotto anche l’ultimo legame con Trento: quello ecclesiastico. Ciononostante nei parrocchiani rimase a lungo un sentimento di vicinanza dovuto anche alla presenza in Trentino di numerosi religiosi Pedemontani.

Nell’agosto dell’anno precedente era stata istituita la diocesi di Bolzano-Bressanone, i cui confini  vennero fatti coincidere, caso unico in Italia, con le rispettive province [9]; in quell’occasione senza che fosse avvertita la necessità di sentire il parere dei parrocchiani coinvolti, cercando piuttosto l’appoggio della politica, furono lasciati alla diocesi di Belluno i decanati di Cortina D’Ampezzo e Livinallongo, a quella di Brescia la zona di Magasa e Valvestino, mentre Pedemonte e Casotto, come detto poco sopra, passarono dalla diocesi di Trento a quella di Vicenza.

Anche in questo caso il Sen. Paolo Emilio Taviani ebbe un ruolo importante essendo all’epoca Ministro dell’Interno e nel suo libro certifica l’intromissione della politica in ambiti non propri. Egli testimonia infatti che, in risposta ad una precisa richiesta del Vaticano tesa a verificare se il Governo sarebbe stato d’accordo con la separazione di parte del territorio provincia di Bolzano dall’Arcidiocesi di Trento per aggregarla alla diocesi di Bressanone, rispose che il Governo sarebbe stato favorevole al nuovo assetto ecclesiastico a condizione che la nuova diocesi abbandonasse sia i territori situati in Austria sia quelli amministrativamente divenuti bellunesi, ed infine che si dovesse chiamare Diocesi di Bolzano-Bressanone e non viceversa [8]. Tutte le richieste furono esaudite.

Jetzt
,
oder
oder mit versenden.

Es gibt neue Nachrichten auf der Startseite