von fpm 27.11.2024 13:30 Uhr

Lo sapevate che…

Nel nostro territorio, il vecchio Statuto del 1528 si innesta sulle consuetudini riconosciute dai vari Principi Vescovi a partire dal 1027, anno della donazione di Corrado il Salico alla Chiesa di S. Vigilio e per essa al Vescovo Ulderico e successori, della Contea di Trento e relative appartenenze…

Foto web, elab grafica fpm

Lo Statuto di Trento del 1528, rimasto in vigore fino all’estinzione del Principato, porta l’impronta dei secoli che lo videro nascere e svilupparsi. Per antica consuetudine i Consoli di Trento eleggevano due o più dottori in legge, nati fuori dalla diocesi e sciolti da parentele o attinenze nella città. Venivano presentati al vescovo il quale fra questi sceglieva e nominava il Podestà. L’eletto entrava solennemente nella città, preceduto da stendardi e dallo stemma della sua famiglia al suono della campana del comune. Donata un’offerta all’altare di San Vigilio era poi introdotto nel Palazzo. Dopo tre giorni, i Consoli lo presentavano al Principe a cui prestava il giuramento e da cui riceveva lo scettro della podesteria. A differenza dell’usanza dei paesi tedeschi dove prevaleva il sistema collegiale, solo giudice responsabile esercitava la giurisdizione civile e penale; doveva ogni giorno esclusi quelli in honorem Dei amministrare la giustizia nelle cause sommarie e lasciare aperte le porte fino alla seconda scala del Palazzo. Per le cause ordinarie presiedeva tre volte la settimana: il lunedì il mercoledì e il venerdì. Il martedì e il giovedì dava udienza per la parte penale.

Rimaneva in carica un anno ed era rieleggibile se trascorsi 7 anni. Terminato il suo compito, il Podestà era obbligato a rendere un severo conto della sua amministrazione a tre sindicatori (magistrati) due eletti dai Consoli, il terzo dal vescovo, doveva presentarsi a loro quotidianamente per 10 giorni consecutivi e rispondere alle querele che contro i di lui avevano diritto di muovere i cittadini. I sindicatori (magistrati) istruivano le cause e d emettevano il loro giudizio. Il sostegno personale del Podestà nelle sue funzioni era ristretto ad un vice Podestà e dall’opera di qualche collaboratore giuridico di cui poteva servirsi per la decisione delle cause civili e per l’istruzione dei processi penali.

Le scritture si delegavano esclusivamente ai notai che unitamente agli avvocati e procuratori formavano una corporazione chiamata l’almo Collegio retta da propri funzionari e sottoposta a particolari discipline. Il collegio era presieduto da un Rettore con quattro consiglieri cui sottostavano un massaro, un notaio e due inservienti. Il rettore durava in carica un anno, gli ufficiali quattro mesi. Per l’ammissione nel collegio si richiedeva la cittadinanza in Trento o provincia e l’approvazione dopo aver sostenuto un esame. Chi veniva ammesso prestava il giuramento d’ufficio e pagava una tassa di 10 troni.

I membri del collegio oltre al dovere di comparire in corpo a certe solennità erano soggetti a varie discipline, per esempio, al divieto di frequentare le bettole e di giocare per denaro; doveva regnare inoltre tra loro una specie di fratellanza con l’obbligo vicendevole aiuto nelle necessità e quello di sottomettere certe questioni al giudizio inappellabile del Rettore. Era imposto ad ogni notaro di custodire i protocolli e le matrici in libri legati e di portare sempre personalmente i materiali da scrivere. Annualmente si sceglievano dal Consiglio sei notai a disposizione del Podestà. Le tasse di loro competenza erano minutamente fissate dalla legge. (continua)

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