von mas 28.09.2024 18:30 Uhr

Un libro al mese: Il vecchio dottore 4°

“A mezzogiorno, quando la campana della chiesa di  Petersberg suonò tre volte l’Ave Maria, il vecchio dottore si era ormai addormentato per sempre. Era il 14 novembre 1922” – La vicenda di Josef Anton Raffeiner, il vecchio dottore, che l’autore del libro rievoca attraverso la documentazione rinvenuta in famiglia, è un viaggio iniziato a Trento, proseguito a Brentonico e poi conclusosi a Petersberg, fra Aldein e Deutschnofen, dove il protagonista esercitò come medico condotto. Un itinerario attraverso la storia del Tirolo da metà Ottocento alla fine della Prima guerra mondiale, quando i vecchi equilibri si dissolsero e nulla fu più come prima.

Il 3 novembre del 1918 il fronte contro l’Italia subì il tracollo, dopo che le truppe ceche e ungheresi si erano rifiutate di combattere ancora. La ritirata si trasformò in una fuga disordinata.

A Innsbruck il Tiroler-Nationalrat  ha assunto il governo della città. È stato costituito un Consiglio dei soldati, con la conseguenza indesiderata che fra i militari è venuta meno ogni forma di disciplina. I soldati si sono strappati i fregi dai berretti e hanno costretto gli ufficiali a fare lo stesso. In stazione è stato saccheggiato un treno che trasportava generi alimentari e così via…   Il comando militare si è perso subito d’animo, gli ufficiali di stato maggiore fraternizzarono con i sottoposti. Non c’era più alcuna truppa che fosse in grado di mantenere l’ordine. Il governo della città costituì in tutta fretta una milizia popolare per far fronte alla situazione.  Furono impediti i saccheggi e disarmati i combattenti di ritorno dal fronte.

Era triste vedere la ritirata dell’armata austriaca, una volta così orgogliosa e forte. I resti di quell’esercito tornavano indietro, chi a piedi, chi su automobili o treni. I soldati sedevano pigiati l’uno all’altro sui tetti dei vagoni, sulle locomotive, sui vagoni del carbone, e molti, che erano sopravvissuti alla guerra, caddero a terra a causa della loro imprudenza. Nei primi giorni di novembre, lungo i binari della ferrovia del Brennero, furono recuperati 230 corpi di militari precipitati dai treni in corsa. A Innsbruck mancavano i becchini. Per più di una settimana le salme restarono insepolte. I frati cappuccini si trasformarono in becchini e diedero giusta sepoltura ai morti»

 

Nel corso di quell’anno divenne sempre più evidente che il Tirolo meridionale fino al Brennero sarebbe rimasto all’Italia. Già prima dell’entrata in guerra dell’Italia, Josef Anton aveva previsto l’inevitabilità di questo esito. Questa fu la ragione che spinse Peppi a decidere di andare a studiare un anno a Roma. La città lo attirava anche per la presenza dei suoi tesori artistici e fu questo il suo primo vero incontro con l’Italia. Raccontare le sue esperienze presso i ministeri e l’università, i suoi incontri con vetturini disonesti e altri imbroglioni, ma anche con persone gentili e pronte ad aiutarlo, ci porterebbe troppo lontano.

Ritorniamo perciò sull’altopiano del Regglberg, dove il vecchio dottore continuava a esercitare con spiccato senso del dovere il suo faticoso servizio. Anche Hedwig lavorava duramente, un po’ al maso, ma soprattutto nella casa del padre.  La ragazza, oltre ad amministrare tutte le faccende domestiche, era chiamata a gestire pure la farmacia che il dottore le aveva affidato. In poco tempo fu in grado di procedere alla preparazione di complicate ricette e le fu permesso di leggere la rivista medica del padre, la Wiener Klinik. Hedwig era di grande aiuto al padre che stava invecchiando. Quando la notte qualcuno suonava il campanello di casa, era lei che andava ad aprire e che si occupava direttamente dei  casi più facili, come mal di denti, tosse e altri piccoli malanni, dispensava calmanti e altri medicinali; svegliava il padre solo nei casi più gravi.

(…)

Josef Anton stava rapidamente invecchiando e vedeva avvicinarsi il tempo in cui non gli sarebbe più stato possibile seguire tutti i suoi pazienti. Fece domanda di andare in pensione e comunicò al Comune di Aldein che avrebbe cessato il servizio a partire dalla fine del 1921. Trovò un appartamento a Petersberg nella vecchia casa del fornaio, che nel frattempo era diventata di proprietà del convento di Pietralba. All’inizio del 1922 egli era ancora in grado di visitare i malati servendosi di una slitta trainata da un cavallo. In primavera incominciarono a manifestarsi alcuni sintomi di una paralisi e, in breve tempo, non fu più in grado di uscire di casa.  (…)

Un giorno lesse la notizia che il 1° aprile era morto sull’isola di Madera – nell’oceano Atlantico, dove era stato mandato in esilio – l’ultimo imperatore d’Austria, Carlo I. Egli disse tristemente: «Lascia una moglie e sette o otto figli; questa gente si troverà in difficoltà, mi devo informare: sono miei parenti e dovrei aiutarli». Hedwig non voleva affaticare o infastidire il padre con delle domande. Fin da quando era bambina le era stato fatto capire che non doveva interrogare il padre su chi fossero i suoi genitori. D’altra parte, l’uomo non tornò più su questo discorso. Forse se ne era dimenticato oppure, semplicemente, si era reso conto che nelle sue pessime condizioni non sarebbe stato di alcun aiuto. Da tempo non guadagnava più nulla, i risparmi erano andati perduti a causa della guerra e della successiva inflazione e la pensione non veniva pagata.

 

 

Venne infine la notte tra il 13 e il 14 novembre: Josef Anton, febbricitante, cominciò a parlare in italiano. Il suo animo era ritornato ai tempi della sua infanzia, a Brentonico, sui pascoli del monte Baldo. Egli parlava con mamma Rosa nel dialetto brentegano. A tratti si addormentava. Il mattino seguente arrivò Peppi. I due figli presero la mano del loro amato papà e gli promisero di essere bravi: sorrise e due lacrime bagnarono le sue guance.

A mezzogiorno, quando la campana della chiesa di  Petersberg suonò tre volte l’Ave Maria, il vecchio dottore si era ormai addormentato per sempre. Era il 14 novembre 1922. Otto giorni dopo ricorreva il quinto anniversario della morte del figlio Karl, accanto al quale venne sepolto.

La versione italiana del libro di Wolfgang Raffeiner “Il vecchio dottore – Una vita nel Tirolo di un tempo” ha una storia particolare,  quasi come quella del suo protagonista.   L’autore l’aveva desiderata fortemente, convinto che, attraverso la storia del suo antenato, molti lettori avrebbero potuto comprendere meglio anche quella della Terra tirolese: una piccola storia – quella di un uomo – che, come spesso accade, riesce a raccontare la “grande storia” – quella universale.

L’incontro fortuito con Luigi Sai, il suo lavoro di traduzione insieme alla figlia Silvia, la lunga ricerca di un editore, l’intervento fondamentale del comune di Brentonico e quello della Fondazione Museo Storico, hanno infine realizzato il suo sogno.

L’edizione in lingua italiana è attualmente esaurita.  Ma “qualsiasi  segnalazione che ne rilanciasse la domanda potrebbe motivare un’eventuale ristampa” ci ha detto Rodolfo Taiani, che ha curato il coordinamento editoriale per conto del Museo Storico.  Non ci resta che “provocare” un altro piccolo miracolo…

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