Pedemonte e Casotto, tra passato e futuro – 1°
Quando l’idea di una ristampa del libro “Le nostre radici – Brancafora” stava prendendo forma, Mons. Alberto Carotta aveva ripetutamente espresso la volontà di preservarne il carattere storico ed a tal proposito mi aveva chiesto di occuparmi della questione riguardante il distacco di Pedemonte e Casotto dal Trentino e la successiva richiesta di ritornare nella provincia di origine. Purtroppo egli se ne è andato improvvisamente prima che il tutto potesse prendere forma concreta.
Mi accingo a farlo ora – scrive Alberto Baldessari – riepilogando le tappe più importanti di una vicenda che purtroppo non è ancora giunta a conclusione.
Premesse storiche
L’attuale territorio di Pedemonte aveva fatto parte di quello che oggi chiamiamo Trentino, passando attraverso il Principato Vescovile di Trento, il Sacro Romano Impero di Germania, il Tirolo, l’Impero Asburgico, l’Impero Austroungarico ed infine Provincia di Trento, in maniera pressoché ininterrotta almeno a partire dal 1535, ma già dal 1451 i Conti Trapp nobili Signori di Caldonazzo avevano preso possesso in maniera stabile di questa zona che era povera di risorse ma ricopriva un considerevole valore strategico; i corsi d’acqua Àstico e Torra da tempo immemorabile segnavano confini civili, militari ed ecclesiastici, anche se non costituirono mai un ostacolo ai buoni rapporti tra gli abitanti delle opposte sponde. Ciò era favorito dal fatto che nell’alta Valle dell’Àstico le popolazioni per secoli ebbero la fortuna di appartenere a due entità statali sovranazionali che garantivano a tutti libertà di religione, lingua e costumi: l’Austria e la Serenissima Repubblica.
Orgogliosi di essere Tirolesi, il termine Trentini infatti all’epoca indicava principalmente gli abitanti di Trento, Pedemontani e Casottani non fecero mai mancare il loro sostegno alla patria quando i confini del Tirolo erano minacciati, come ad esempio nel corso delle guerre risorgimentali del 1848, 1859 e 1866 [1], e la fedeltà della nostra gente alla Casa d’Austria era «proverbiale» [2].
Già durante l’invasione napoleonica il Capitano della Compagnia dei Bersaglieri Tirolesi di Caldonazzo Giovanni Battista Sartori da Casotto ne era stato un limpido esempio: nel 1797 era stato insignito della grande medaglia d’oro ed in seguito sarebbe caduto combattendo contro i Francesi, nel 1810, e questo sentimento patrio era ancora vivo durante la prima guerra mondiale.
Infatti dopo l’entrata in guerra dell’Italia, quando tanti soldati di lingua italiana appartenenti all’esercito austroungarico erano guardati con sospetto, relegati nelle retrovie in unità definite P.U. (Politisch Unzuverlässlig / politicamente inaffidabili) oppure P.V. (Politisch Verdächtig / politicamente sospetti), la nostra Compagnia degli Standschützen Pedemonte-Casotto operò sempre al fronte e dagli organi di polizia era considerata sehr verlässlig, cioè affidabilissima. Lo storico austriaco Willibald Richard Rosner scrive «È doveroso riconoscere, ancora una volta, l’encomiabile fedeltà dimostrata dagli Standschützen di Pedemonte-Casotto che resistettero ad Asiago fino alla fine» [3].
Dal 1918 al 1929
Nel 1922 i deputati vicentini inviarono al governo di Roma un documento in cui si chiedeva che le frazioni folgaretane di Buse e Nosellari ed i comuni di Pedemonte e Casotto passassero alla provincia di Vicenza: le richieste venete erano in linea con la dottrina francese detta delle acque pendenti o dello spartiacque. Mentre Folgarìa seppe immediatamente difendere con forza le proprie ragioni, Pedemonte e Casotto purtroppo non poterono farlo.
In un comizio tenuto a Lastebasse, il Direttore del Corriere Vicentino Giuseppe De Mori, il 3 giugno 1923, dopo aver rassicurato i Lastarolli che il Governo «… avrebbe ridato a Lastebasse le sue montagne [il territorio compreso tra l’Àstico e l’attuale confine regionale, conteso per secoli tra Lastebasse e Folgarìa n.d.a.]» affermò: «Il decreto del 21 gennaio 1923 il quale istituiva la nuova provincia di Trento nel Comunicato del Consiglio dei Ministri del 5 gennaio, per il confine Veneto-Trentino faceva questa esplicita riserva “Un prossimo decreto deciderà il passaggio delle poche centinaia di abitanti della Val d’Astico dalla Provincia di Trento a quella di Vicenza”» [4].
Con il medesimo provvedimento, il Regio Decreto nr. 93 del 21 gennaio 1923, fu pure stabilito che i comuni di Cortina d’Ampezzo, Livinallongo del Col di Lana e Colle Santa Lucia venissero staccati dalla provincia di Trento ed annessi a quella di Belluno, ed infine il 2 gennaio 1927 fu istituita la provincia di Bolzano.
Nel 1929 i comuni di Pedemonte e Casotto furono aggregati alla provincia di Vicenza [5] in maniera autoritaria, a seguito di un referendum di dubbia legittimità. Nel 1946 il Sindaco di Pedemonte a questo riguardo avrebbe poi scritto al Sen. Enrico Conci: «Nonostante il contrario parere della totalità della popolazione, un provvedimento d’imperio del regime fascista del luglio 1929 staccava questo comune dalla provincia di Trento per aggregarlo a quella di Vicenza. Il ritorno del regime di libertà ha trovato la popolazione nel fermo proposito di chiedere la riannessione al Trentino del quale abbiamo condiviso le sorti ab immemorabili».
Nella lettera/memorandum alla Direzione della Südtiroler Volkspartei del 4 maggio 1948, Luigi Serafini, Presidente del Comitato per la Ricostituzione del Comune di Casotto, fu più esplicito: «Nel 1929 in seguito alla solita camorra fascista-nazionalista, per iniziativa di alcuni gerarchi poco scrupolosi, la suddetta borgata venne distaccata dalla provincia di Trento, alla quale essa storicamente ed etnicamente apparteneva, ed aggregata alla provincia di Vicenza (…) un provvedimento preso da un governo totalitario contro la volontà della popolazione» [6].