von mas 09.11.2024 18:29 Uhr

Un libro al mese: Malati di sogni 2°

“Ma combattere chi? Die Walschen, natürlich, gli italiani naturalmente! Ma quali italiani? Quelli arrivati a frotte a far da padroni dopo la Grande Guerra? O i Welschtiroler, simili agli italiani solo per la lingua, quelli che avevano combattuto valorosamente per difendere la Heimat comune, prima con Hofer e poi nella Guerra  Mondiale?” –   Il nuovo libro di Max Unterrichter, un romanzo sulla vita a cavallo fra Sudtirolo e Canada: due mondi diversissimi fra loro,  in qualche modo accumunati dalla violenza della storia ma anche dalla volontà di vivere secondo la propria cultura, le proprie tradizioni, i propri principi. Oggi la seconda parte

Guerre

Si guardò le mani. Mani grandi, che avevano toccato cose mai immaginate prima, compiuto azioni forse impensabili tutte in un uomo solo. Di certo non avevano mai oziato. Pensò all’amore che avevano saputo dare e ricevere, a quando avevano saputo premere un grilletto, per uccidere. La
guerra sì, ma non quella che ricordava appena, con ali nere d’acciaio ad oscurare il cielo ed eco di esplosioni a risalire la valle, né altre che riempivano i libri di storia. La guerra che aveva conosciuto nel Nordovest era stata persino peggiore. Una guerra infinita, che estendeva la sua ombra su secoli interi e per secoli si era nascosta nelle foreste, combattuta senza armi né battaglie campali, soprattutto contro i bambini e le donne, mistificata dalla vile arroganza di chi si riteneva superiore, chiedendo persino al proprio dio di santificare le sue colpe. Un
Golia spietato contro un Davide solo e disarmato, con l’unica colpa di essere un ostacolo per i suoi progetti malati.

Una guerra per certi aspetti simile a quella cui era sfuggito inseguendo i propri sogni, in una sera d’estate, nell’altro secolo: la guerra di Sepp Langer, del dottor Hasler, di Luis Amplatz, di
Jörg Klotz e Silvius Magnago, la guerra silenziosa del suo popolo, che però bene o male era finita.

Aveva creduto che il mondo potesse essere diviso in inferno e paradiso, che al di là di un oceano si potesse sfuggire all’odio razziale e religioso, agli sporchi giochi della politica e del potere. Un continente giovane, sul quale due guerre mondiali non erano riuscite a sbarcare, aveva di certo sciolto nei suoi orizzonti sterminati i veleni che corrodevano le anime. Erano stati gli indiani una delle molle per l’abbandono del suo Tirolo, della sua valle dipinta di arcobaleno, dove ogni giorno percepiva compressa e violata la libertà di cui essi al contrario gli erano parsi i figli e sacerdoti. Eppure, una volta giunto in capo al mondo, ci erano voluti anni prima che mettesse a fuoco, ombre dietro le quinte, la presenza dolente dei Nativi.

Giorno per giorno aveva preso coscienza del loro sterminio silenzioso, dell’umile, fatalistico chinarsi senza spezzarsi di quelle genti a una violenza estranea al loro sangue, ai loro spiriti. Aveva capito che cosa intendessero il nonno, Sepp o il dottor Hasler quando li sentiva sussurrare “sopravvivenza, resistere”. Aveva capito l’incoscienza di quel padre mai conosciuto, della sua gioventù divorata dalla speranza nelle false promesse dell’imbianchino di Braunau, il pazzo dai baffetti quadri alla Charlot, che li aveva traditi tutti e venduti al mercato della storia. “Maledetto lui e le orde di imbecilli che gli hanno creduto!” era sbottato il nonno il giorno in cui, per la prima volta, gli aveva raccontato dell’agosto 1939 e dei treni della vergogna, quelli che  avevano spaccato in due il suo piccolo popolo. Anzi, solo la parte di esso che aveva il tedesco o il ladino per lingua madre, quelli da cancellare. Non chi parlava italiano. Era stata davvero beffarda la storia, che dapprima si era accanita contro i tirolesi di lingua italiana, devastandone terra e case. Poi, terminata ufficialmente quella guerra orrenda, la prima di tutti contro tutti, aveva spostato il fronte appena più a nord, sostituendo ai cannoni le armi subdole della politica e dell’odio.

Non era stato il Sudtirolo l’unica vittima di un’Europa stravolta e impazzita, ma questo al tempo lui non lo sapeva, e forse nemmeno Sepp e gli altri.

Sepp

Sei proprio il figlio di Lilly tu, impossibile sbagliarsi, hai i suoi stessi occhi!” L’Americano sussultò, sorpreso dalle parole e dal tono deciso. “Sì, ma Lei …” “Ma io? Sepp Langer, ti ricorda niente il mio nome?” Lui aggrottò le sopracciglia, come se non avesse capito. No, non poteva essere lo stesso. “Quel” Sepp Langer avrebbe dovuto avere un paio d’anni più di sua madre … e lei ne avrebbe compiuti novantotto a giorni, se ancora fosse stata lì! Impossibile, non erano occhi appannati di centenario quelli che lo stavano fissando ironici. “Naa, i pin koan gschpenst Leo, non sono un fantasma Leo, e come vedi ricordo pure il tuo nome, anche se sono cento e uno i compleanni che ho festeggiati, alla faccia dei troppi bastardi diuesto mondo.” Il suo sguardo si era fatto improvvisamente duro, la voce tagliente. Pareva pronto a combattere.

Ma combattere chi? Die Walschen, natürlich, gli italiani naturalmente! Lo sapevano tutti, anche i suoi compagni! Ma quali italiani? Quelli arrivati a frotte a far da padroni dopo la Grande Guerra? O i Welschtiroler, simili agli italiani solo per la lingua, quelli che avevano combattuto valorosamente per difendere la Heimat comune, prima con Hofer e poi nella Guerra  Mondiale? O solo quei pochissimi trentini che avevano tradito le loro stesse famiglie, tornando poi da vincitori con la camicia nera? Oppure quei parenti che non arrivavano mai senza un piccolo dono per lui e un sorriso? O il maestro Agostini?

I brandelli di ricordi apparivano ora più numerosi, ma sfilacciati e senza un ordine, rendendo
complicato il tentativo di dare loro un senso compiuto: sessant’anni non erano un battito di ciglia.
Ciò che non aveva dimenticato era il clima di tensione, l’orgoglioso affermare in ogni modo il proprio amore per la Heimat, il rifiuto ostinato di usare quella lingua italiana imposta a tutti con la forza, dopo che per secoli, come il ladino, era risuonata per strada senza che nessuno ci facesse caso. Vedeva ancora la bandiera italiana sulla facciata del municipio, data alle fiamme in una notte di San Giovanni, portando decine di carabinieri che avevano messo a soqquadro il paese per scovare i responsabili. Proprio Sepp e il dottor Hasler erano stati accusati e incarcerati, ma non si erano trovate prove e, alcuni giorni dopo, li avevano dovuti rilasciare. Si diceva però che fossero stati picchiati a sangue e minacciate le loro famiglie.

L’odio era dilagato, senza fare distinzione fra chi lo aveva causato, con le sue scellerate dottrine e le sue violenze nazionaliste, e la povera gente immigrata dal sud inseguendo una speranza. Per lo più gente raggirata e aizzata con falsi ideali e con il racconto di una storia inventata ad hoc.  Solo al maestro Agostini quell’odio era stato risparmiato. Ma lui da tempo non era più “der Walsche”.

L’Americano ora ricordava la ribellione schiumargli nelle vene, ma il destino lo aveva portato lontano, oltre l’immensità senza orizzonti di un oceano.

Il Popolo del Pettirosso

Come una folgorazione, si era reso conto che i Nativi erano ma non erano, che venivano negati loro i diritti fondamentali di esseri viventi. I bianchi li evitavano, fingevano di non vederli e se
proprio non potevano farne a meno, o conveniva, li calpestavano come insetti molesti.
Essi violentavano la madre comune con scavatori e mine, camion e motoseghe, mentre navi e rimorchiatori solcavano i fiordi verso l’oceano, scacciando orche, balene e salmoni e
portandosi via le spoglie smembrate di alberi antichi quanto le montagne.

Persino l’uso delle lingue native era stato vietato, come per molti anni nel suo Sudtirolo, ma con metodi ancor più disumani! “Uccidere l’indiano nel bambino”, cancellare lingue, identità e
tradizioni millenarie contro ogni diritto. Sradicare anime. “Scuole residenziali indiane” le avevano chiamate e la loro gestione era stata affidata alle chiese, la cattolica in prima fila. Dio usato per proteggere i misfatti che vi si perpetravano. Mattatoi, dove i figli di quell’Eden violato, bambini strappati con la forza alle famiglie, venivano segregati con la menzogna della “civilizzazione”, violentati fisicamente, sessualmente e spiritualmente, sperando non troppo in segreto che non ne uscissero mai. E la morte rispondeva efficiente al richiamo. La raccapricciante anticamera di un delirante progetto di annientamento e assimilazione.

Per un caso fortuito, ormai anziano, Leo torna alla vecchia casa di famiglia, nel Sudtirolo che ha lasciato a 17 anni.  Ha trascorso l’intera vita lontano, fra le immense foreste del Canada, e per tutti ormai è l’Americano.  Nel racconto di Max Unterrichter si mescolano gli anni della brutalità fascista e delle bombe in Sudtirolo con la ferocia coloniale e le Scuole Residenziali Indiane del Nuovo Mondo. Genocidi perseguiti cinicamente e esseri umani che vorrebbero solo vivere a modo loro, con rispetto e amore.

Il nuovo libro di Max Unterrichter – pubblicato dalla casa editrice Effekt! in lingua tedesca e da Youcanprint in lingua italiana e inglese –  è un viaggio fra passato e presente, fra luoghi di confine e popoli diversi – i Nativi del Canada e i Sudtirolesi – ma accumunati dalle ingiustizie subite, dalla fierezza e unicità che li distingue da tutti coloro che li circondano, tra memoria e ricerca di un futuro che pare grigio di dubbi difficili da sciogliere.

“Malati di Sogni” non è un romanzo e nemmeno un saggio. E un libro vero, duro, per certi versi difficile da digerire, ma che vale la pena leggere, una prima volta tutto di un fiato, e poi un’altra ancora più lentamente, andando a fondo di ogni pagina, di ogni parola.

Chi non trovasse il volume in libreria oppure online, può  rivolgersi alle case editrici (Effekt!  = 0471 813 482 –  info@effekt.it  / Youcanprint ) o direttamente all’autore (munterr@tin.it )

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