Briciole di Memoria: Una lapide racconta
Qualche giorno fa, durante una passeggiata fra le vigne autunnali, siamo capitati quasi per caso nel cimitero di Montan e non abbiamo potuto fare a meno di entrarci. Abbiamo dedicato solo qualche secondo a quel blocco di pietra squadrata che è la tomba di Tolomei. E’ stata un’altra lapide ad attirare la nostra attenzione: quella della famiglia Wegscheider. Nomi, date, fotografie e due scritte raccontano tutti i capitoli di una storia davvero terribile, una delle tante che la nostra Terra ha vissuto durante il secolo breve. Eccola.
Josef Wegscheider è un “Besitzer”, un proprietario: probabilmente a Montan possiede una casa, un maso, un vigneto, forse un pezzo di bosco, come tanti altri in questa zona appesa sopra la valle dell’Adige, fatta di terra coltivata, di terrazze scolpite nelle colline, sempre più ripide man mano che si sale.
Nato nel 1881, a ventisette anni sposa Katharina Haas, anche lei di Montan e di qualche anno più giovane. Da quel matrimonio, celebrato il 6 luglio 1908, nascono quattro figli. Il primogenito, battezzato Josef come il padre – secondo la tradizione tirolese – muore a pochi mesi dalla nascita. Forse per chiedere un po’ di protezione divina, agli altri bimbi viene dato Maria come secondo nome: Josef Maria nasce nel 1911, Katharina Maria Imaculata nel 1912, quindi il 2 febbraio 1914 viene alla luce Julius Maria.
Pochi mesi dopo la sua nascita, scoppia la guerra. Josef viene richiamato, va al fronte con il grado di Zugsführer nel 4. Reggimento dei Tiroler Kaiserjäger. Dopo un anno di guerra in Galizia, il reggimento viene trasferito sul fronte italiano: il 20 luglio 1915 giunge a Nabrezina, il 31 luglio sale sul Carso, il 1 agosto combatte a Doberdob. Sono i giorni e le notti della seconda battaglia dell’Isonzo, il Carso è una distesa di pietre riarse, non c’è acqua, non ci sono fortificazioni difensive, solo sassi, doline e reticolati. Le mitragliatrici e l’artiglieria fanno a pezzi decine e decine di soldati, ovunque ci sono frammenti di pietre e brandelli di corpi.
Josef Wegscheider è uno di loro: va all’assalto nella notte di Doberdob e scompare, frantumato anche lui come tanti altri uomini, come i sassi dell’altipiano. Sul Tiroler Ehrenbuch restano di lui due medaglie al valore e l’annotazione “vermisst / disperso”.
La guerra finisce, e con lei finisce anche un intero mondo. L’Impero scompare, il Tirolo viene diviso. Sotto il Brennero adesso è Italia, si dice; si vorrebbero eliminare secoli di storia, si comincia intanto con il cancellare la lingua, i toponimi, gli stessi nomi delle persone. Quando poi salgono al potere i fascisti, le cose peggiorano ancora, la violenza è all’ordine del giorno, basta un nulla perchè divampi.
Nel 1931 muore Katharina e nella casa al numero 66 di Montan rimangono solo i tre figli. Il giovane Julius è un ragazzo timido e timoroso, ma capace e benvoluto dal contadino di Eppan dove lavora dalla primavera del 1932. Fa amicizia con Richard, il figlio del padrone, un ragazzo della sua stessa età ; spesso lavorano insieme nei frutteti più lontanti dal maso dove talvolta si fermano per intere settimane, spesso vanno insieme a trovare i parenti di Richard a Termeno.
E proprio li stanno andando la sera di San Nicolò, il 6 dicembre 1932, scrive il Dolomiten qualche giorno dopo. E’ un periodo strano, quello: da qualche settimana a Termeno e dintorni scoppiano incendi dolosi, che riducono in cenere fienili e magazzini. All’imbrunire di quel giorno, un contadino rinviene una candela, accesa e ormai quasi consumata, semisepolta nel fieno: sarebbe bastato un attimo ancora per far divampare le fiamme. L’uomo allerta i carabinieri, che si mettono alla ricerca di sospetti e colpevoli.
Lungo una stradina di campagna la pattuglia della benemerita incrocia i due ragazzi, intima loro l’alt.  Richard si ferma, le mani in alto; Julius si spaventa e corre via in preda al panico. Gli gridano di fermarsi, forse non sente o forse non capisce il comando. I carabinieri aprono il fuoco. Julius viene centrato da tre pallottole, una lo colpisce al braccio sinistro, le altre due lo feriscono gravemente al ventre, probabilmente mentre si è già fermato e si sta girando per tornare indietro.
Lo raccolgono quasi moribondo,  lo portano prima in caserma e solo più tardi in ospedale a Bolzano. Ma le ferite sono troppo gravi e il povero Julius si spegne il giorno dopo fra le braccia dei fratelli, che – si dice – al suo capezzale hanno la proibizione di parlargli in tedesco, la lingua materna, ma devono usare l’italiano. Julius ha solo 18 anni.
Viene sepolto nel cimitero di Montan ed il suo nome si aggiunge, sulla lapide, a quello del padre morto a Doberdob e a quello della madre da poco scomparsa. Ma il suo nome … non è più il suo, e la dicitura della lapide è un’ultima, terribile ingiustizia. “Giulio Wegscheider – dicono le parole incise nel marmo in lingua italiana – tragicamente colpito d’arma da fuoco a Termeno la sera del 6 dicembre 1932 dall’arma benemerita per grave errore”