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Briciole di Memoria: Carlo, l’ultimo Imperatore – 4°

Nella ricorrenza del genetliaco, a Castello Tesino una piazza del paese è stata intitolata al Beato Carlo I d’Asburgo, l’ultimo Imperatore e Re.  Una figura senza dubbio controversa, spesso incompresa e non sempre facile da “inquadrare”.  Roberto Todero – storico appassionato e rigoroso ricercatore  –  ha provato a raccontarla con  un interessante contributo all’interno di “Chi ha sparato all’Imperatore” di Lucio Fabi.  Eccone oggi la quarta e ultima parte:  “Carlo era un uomo fuori dal tempo e ciò che prima della Katastrophe era virtù si era ormai trasformato in debolezza  (…) Termina qui l’uomo ed inizia il mito, quel mito che portò a un lungo processo per la beatificazione de l’ultimo imperatore. Si esce così dalla storia per entrare in una dimensione diversa, quella della fede.”

Inizia ora il periodo dell’esilio vissuto nell’attesa di un qualcosa che poteva o non poteva essere e che di certo per essere avrebbe richiesto quella forza, decisione e purtroppo violenza che Carlo rifuggiva.
Due i suoi tentativi di salire al trono d’Ungheria, al quale mai aveva rinunciato; una prima volta nel marzo del 1921 si recò nel paese senza avvisare il così detto reggente, quel Miklós Horty già ultimo comandante della imperiale e regia marina da guerra, l’uomo che il 31 ottobre 1918 consegnò, per ordine di Carlo, la flotta al nascente regno dei Serbi, Croati e Sloveni. I colloqui con il reggente dimostrarono la volontà di quest’ultimo di non cedere la posizione conquistata, pure detenendola teoricamente in nome di Carlo e portarono alla successiva dichiarazione di destituzione di Carlo da ogni diritto sull’Ungheria. L’appoggio di parte dell’esercito non venne sfruttato anche per i consueti sentimenti non violenti di Carlo. Il tentativo, vagamente appoggiato da alcuni politici francesi in funzione anti tedesca non andò quindi a buon fine e Carlo dovette rientrare in Svizzera, sede del suo esilio.
La partenza dall’Ungheria fu un trionfale fallimento: per lui venne allestito il treno di corte e lungo il percorso fino al confine il viaggio proseguì tra ali di folla, mentre in ogni stazione monarchici convinti volevano salutarlo e consegnargli attestati di fedeltà. Al confine con l’Austria venne fatto scendere dal treno di corte e proseguì il viaggio con la scorta di militari inglesi e la sorveglianza di tre ufficiali alleati, uno italiano, uno francese ed uno inglese.
L’Italia non risparmiò strofette ingiuriose e racconti di fantasia pubblicati sui giornali a commento di questo tentativo, dando il peggio di se.
Il primo viaggio in Ungheria venne organizzato in ferrovia, il secondo fu decisamente più avventuroso; venne infatti fatto un viaggio in aeroplano. Il tentativo di restaurazione fu preceduto da colloqui diplomatici che non fecero ben sperare. Il volo avvenne nell’ottobre del 1921 e vi prese parte anche la moglie, la regina Zita. Ad attendere la coppia il colonnello Lehár, al comando di truppe lealiste. Non tutto nel viaggio andò per il verso giusto né dopo l’atterraggio i piani si rivelarono ben eseguiti. Lo stesso Lehár attendeva la coppia solo per il giorno successivo. Nonostante tutto lo spostamento in treno in direzione di Budapest fu un trionfo e i reparti ungheresi, mobilitati da Horty si schierarono con le forze lealiste. Mancò però la sorpresa e un pur sconcertato Horty riuscì anche con l’inganno a mettere assieme un reparto formato da studenti ai quali era stato detto che si sarebbero battuti contro invasori cecoslovacchi. Piccoli scontri seguiti a un oscuro episodio che vide coinvolto lo stesso treno sul quale la famiglia reale viaggiava verso Budapest crearono situazioni di panico tra le truppe lealiste, troppo a lungo trattenute da Carlo nei suoi indugi e tentativi di colloquio. Così anche questo secondo tentativo fallì e fallì per la sua indecisione e irrisolutezza, oltre che per l’innegabile mala fede di Horty. Alcune autori moderni suggeriscono che Carlo avrebbe dovuto presentarsi armato e intimorire egli stesso Horty con la forza anziché concedergli l’ordine di Maria Teresa. Simili osservazioni non tengono però conto della educazione avuta da Carlo e del suo essere non violento, oltre che fiducioso verso gli altri uomini. Carlo era un uomo fuori dal tempo e ciò che prima della Katastrophe era virtù si era ormai trasformato in debolezza.
Visto ormai come un personaggio sgradito venne decretato il suo esilio sull’isola di Madera, dove giunse il 19 novembre del 1921. Qui venne sistemato nella villa Quinta do Monte, luogo adatto al periodo estivo ma privo di riscaldamento per l’inverno; la cremagliera che avrebbe dovuto collegare la villa al paese di Funchall non funzionava tutti i giorni e dovendo andare in paese a piedi ci si impiegava, ritorno compreso, quasi una giornata, come testimoniò una della cameriere addette alla villa, dove: “…mancano tutti i momenti le cose necessarie…”
Durante uno di questi necessari spostamenti dalla villa al paese Carlo, indebolito, deluso e stanco si ammalò di polmonite, morendo il 1 aprile 1922.
Termina qui l’uomo ed inizia il mito, quel mito che portò a un lungo processo per la beatificazione de l’ultimo imperatore.
Si esce così dalla storia per entrare in una dimensione diversa, quella della fede. Fede che da un lato accompagnò Carlo lungo tutto il suo percorso, dall’altro è una dote che si possiede o non si possiede, con tutti i dogmi o le perplessità che dai vari atteggiamenti possono scaturire. La Gebetsliga, pia unione di preghiera, trae le sue origini dalla volontà della madre di Carlo di pregare per lui in compagnia di un circolo ristretto di persone nel corso delle messe; la madre si diceva in contatto spirituale con la sua genitrice che la avrebbe avvertita del fatto che Carlo sarebbe un giorno divenuto imperatore: “…nel 1895 venne costituito un primo circolo di preghiera, nato da quella ispirazione carismatica, l’intenzione era di assistere una volta al mese alla S. Messa facendo la comunione per Carlo e proteggerlo dai pericoli con le preghiere”
Terminata la prima guerra mondiale e caduta la dinastia, la Gebetsliga venne riconosciuta dalla chiesa nel 1925, continuando a fare proseliti. Uscita non senza difficoltà dalla seconda guerra mondiale la Gebetsliga raccoglie oggi persone in molti paesi del mondo.
Ma Carlo, ricordato come l’imperatore della pace, non per questo viene sottoposto al processo di beatificazione, ma per un miracolo a detta dei credenti avvenuto nel New Mexico con la sua intercessione. Così nelle parole di don Arnaldo Morandi, vice postulatore per la causa di canonizzazione del beato Carlo d’Austria, pronunciate nel corso di un incontro tenutosi nel novembre 2016 a Trieste: “…ottenuto il luogo a procedere è stato istruito un tribunale delegato in loco che ha svolto le sue funzioni ed ha terminato il lavoro di raccolta delle prove documentali e testificali, unitamente ai pareri di esperti, oltre al materiale medico diagnostico. Si tratta di una guarigione che la scienza attualmente non è in grado di spiegare, completa e improvvisa da malattia mortale diagnosticata.”

Di certo politicamente non molto capace come dimostrò in occasione dei tentativi di pace separata, noti come Sixtusaffaire, che portarono solo al suo discredito nei confronti dello sgradito alleato germanico e a una gogna mediatica montata dai francesi; o il suo ultimo, tragico errore: il manifesto di ottobre 1918 nel quale parlava di una nuova federazione tra i popoli (della Cisleithania), con l’unico risultato di legittimare involontariamente i vari comitati nazionali all’estero accelerando così la disgregazione della monarchia.

Un personaggio controverso, Carlo I, inadatto ai tempi nei quali si trovò a vivere e a regnare. Forse un innovatore, ma i suoi tentativi in tempo di guerra giunsero nei momenti e nei modi peggiori.

Si giunse così alla dissoluzione dell’esercito sui vari fronti di guerra, all’armistizio tra il Regno d’Italia e l’Austria – Ungheria, armistizio che annunciato ai due contendenti in modi e tempi diversi permise agli italiani una avanzata in profondità e la conseguente cattura di centinaia di migliaia di prigionieri che si credevano sulla via di casa.

Anche su questi fatti le versioni si sprecano: chi vede una precisa volontà italiana nel ritardare l’annuncio dell’armistizio, chi sostiene che Vienna stessa temesse il rientro in Austria di sudditi stanchi si ma potenzialmente fedeli agli Asburgo. Noti i tentativi di Boroevic di portare le sue armate, ancora ordinate anche dopo la ritirata dal Piave – Tagliamento alla capitale, frustrati però dalle ambigue risposte dell’imperatore Carlo che rispose ai telegrammi citando i meriti di Boroevic in guerra e futuri ringraziamenti, ma non la situazione di quei giorni. In questo alcuni autori vedono la buona volontà di Carlo di voler evitare ulteriori sanguinosi scontri tra truppe ben addestrate e le forze rivoluzionarie. Citando Ernst Bauer: “… più volte l’Imperatore si trovò in circostanze analoghe, ed in ogni occasione egli si oppose alla violenza, anche contro gli interessi della Corona…

La sera del 11 novembre 1918 la famiglia imperiale lasciò la residenza di Schönbrunn in una atmosfera da tregenda. I cadetti della scuola militare di Wiener Neustadt sfilavano per la città, con l’intento di proteggere la dinastia, il militi della nuova Volkswehr prestavano un timido servizio, non certi degli sviluppi della situazione.  Viene proclamata la nuova Repubblica, che viene chiamata austro – tedesca, anticipando così i disegni di una annessione alla Germania, sempre osteggiata da gran parte della popolazione austriaca e dalla casa d’Austria. Il proclama firmato da Carlo il giorno stesso non faceva che sancire uno stato di fatto:  “…dal giorno della mia salita al trono mi sono incessantemente sforzato di trarre i miei popoli dagli orrori di una guerra, del cui inizio non porto alcuna colpa… riconosco fin d’ora le decisioni che l’Austria tedesca prenderà per la sua futura forma di stato… la felicità dei miei popoli fu dall’inizio lo scopo dei miei più vivi desideri. Soltanto la pace interna può risanare le ferite di questa guerra.

Dichiarazioni che lo pongono quasi in antitesi alla sua stessa casa, certamente ancora una volta buone, ma espresse nei modi e nei tempi sbagliati. Non credo noi oggi si possa giudicare Carlo e la situazione che lui stesso aveva contribuito a creare. L’ultimo imperatore, vicino alla sua gente in un momento nel quale la gente stessa aveva più bisogno di chiarezza che di sentimentalismo.

  • Piazza Beato Carlo I d'Austria a Castel Tesino (Foto S.Gamper)
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