von mas 29.08.2024 06:44 Uhr

Briciole di Memoria: Carlo, l’ultimo Imperatore – 2°

Nella ricorrenza del genetliaco, a Castello Tesino una piazza del paese è stata intitolata al Beato Carlo I d’Asburgo, l’ultimo Imperatore e Re.  Una figura senza dubbio controversa, spesso incompresa e non sempre facile da “inquadrare”.  Roberto Todero – storico appassionato e rigoroso ricercatore  –  ha provato a raccontarla con  un interessante contributo all’interno di “Chi ha sparato all’Imperatore” di Lucio Fabi.  Eccone oggi la seconda parte:  “Buona volontà e ingenuità, volontà di fare bene e del bene, che si scontrano con la realtà di una guerra in corso da quasi due anni.

Il 1914 sembrava un anno come tutti gli altri. Nelle Dolomiti il turismo montano iniziava a dare riscontri importanti e la stagione sembrava delle più promettenti. La situazione nei Balcani era sempre tesa anche se non c’erano particolari conflitti in corso come negli anni precedenti. Nelle sue memorie l’imperatrice Zita ricorda come Karl e Franz Ferdinand discutessero molto su future riforme dell’esercito ma come ambedue fossero contrari a una possibile guerra.

Ciò che accadde a Sarajevo il 28 giugno mise in moto una serie di inattesi eventi epocali le cui conseguenze sembrano, con gli occhi dei testimoni del tempo, assolutamente imprevedibili, certamente non indirizzabili. Il periodo successivo all’attentato venne vissuto dai regnanti d’Europa tra vacanze, viaggi e lunghi indugi, le diplomazie sembravano impotenti mentre i militari degli alti comandi scalpitavano, vedendo in questo attentato l’ennesima occasione per scatenare una guerra, ormai non più preventiva, come tante volte sollecitato da Franz Conrad von Hötzendorf.

Anche in questo bailamme sembra che solo uno abbia saputo tenere la testa a posto: l’imperatore Francesco Giuseppe infatti fece in modo di non coinvolgere in nessuna maniera il nuovo erede al trono in ciò che precedette la dichiarazione di guerra né nella dichiarazione stessa, un po’ come era stato fatto per lui stesso al momento della sua lontana salita al trono, nel 1848, nei confronti della rivoluzione. Lo stesso Karl in una lettera alla moglie scritta a Bad Ischl datata 28 luglio scrisse come l’imperatore pensasse di lui che “…io debba ora risparmiarmi necessariamente per l’Austria.” 

Ancora dalle memorie di Zita: “…il 30 di luglio Karl e Francesco Giuseppe giunsero dalla stazione di Penzing a Schönbrunn tra due ali di folla composta da cittadini di ogni condizione.”

Già il primo di agosto la coppia composta degli eredi al trono, Karl e Zita, fu in visita a Budapest accolta con favore dalla popolazione nel corso di questo viaggio, descritto come informale. E’ interessante la descrizione che ne viene fatta dal punto di vista della comunicazione: Karl infatti saluta a destra e a manca, incessantemente, volgendo il capo e portando la mano al berretto militare, mentre Zita saluta pacatamente con la mano. E’ forse la prima descrizione di quei movimenti continui del capo che valsero poi a Karl il soprannome affibbiatogli dalla propaganda italiana: tentenna. Movimenti che incontreremo in tutti i filmati che mostrano Karl dalla dichiarazione di guerra in poi, legati forse al suo desiderio di farsi sentire vicino a chi gli stava attorno, dimostrando però al contempo nervosismo e una certa insicurezza nel ruolo.

Da erede al trono Karl iniziò a visitare il fronte passando i rassegna reparti militari come avvenne nel novembre del 1914 a Olkusz, al fronte russo quando per la prima volta l’imperiale e regio reggimento di fanteria N. 19 lo conobbe quale Inhaber (comandante titolare), succeduto in questa carica a Francesco Ferdinando. Karl descrisse questa giornata in una lettera alla moglie, dimostrando nel testo una grande attenzione verso le condizioni materiali dei soldati, afflitti in quei giorni da una insorgente epidemia di colera seguita al primo periodo di impiego al fronte; nella sua lettera Karl descrive le condizioni degli uomini, racconta come nelle loro fila ci siano ufficiali già feriti e rientrati dagli ospedali dimostrando come la sua attenzione vada all’uomo soldato e ai suoi bisogni, pur se poi, nel proclama alle truppe usava i consueti necessari toni.

Karl trascorse buona parte del periodo successivo alla dichiarazione di guerra presso l’Armee Oberkommando (AOK), dove ebbe più volte l’occasione di confrontarsi con il Capo di Stato Maggiore la cui opinione era che l’erede al trono non dovesse condividere le esperienze del suo reggimento al campo ma imparare il mestiere delle armi in una sede sicura. Fino al luglio del 1915 l’erede al trono rimase presso l’AOK in qualità di ufficiale d’ordinanza.

Spesso Conrad von Hötzendorf limitò i suoi compiti a quelli di un semplice messaggero, lasciando gran parte delle visite di rappresentanza presso l’esercito all’anziano arciduca Federico. Talvolta venne concesso a Karl di accompagnare Federico, così come fu nel settembre del ‘14 durante la controffensiva nei dintorni di Leopoli quando raggiunsero la città di Grodek dalla quale videro i combattimenti ancora in corso. In altre occasioni Karl, sempre con L’arciduca Federico e von Hötzendorf fu presente ai colloqui con il Kaiser Wilhelm II, così come avvenne a Breslau nel tardo autunno del 1914.

Anche gli avvenimenti al fronte balcanico videro il coinvolgimento dell’erede al trono quale addetto al AOK; fu infatti inviato a Vienna in un tentativo di coinvolgere l’imperatore nella possibile rimozione del FZM (Generale) Potiorek dall’incarico di comandante del fronte balcanico, dato il catastrofico andamento delle operazioni di guerra da lui condotte.

 

Dopo il durissimo inverno vissuto dalle truppe della duplice monarchia sui monti Carpazi nel tentativo di arginare una avanzata russa, giunse il tempo che portò alla battaglia di Gorlice e alla liberazione della Galizia. Testimone d’eccezione anche Karl che da una collina vicino alla città poté seguire gli scontri in compagnia di Federico e di Conrad, assistendo al passaggio di centinaia di russi prigionieri, accompagnati talvolta da un solo cavaliere. Nonostante la sua preparazione militare, Carlo fu infatti lontano dall’esercito solo nei 4 semestri di studi universitari, solo nell’estate del 1915 ebbe l’incarico di supportare l’imperatore nel prendere decisioni legate al conflitto in corso. Questo incarico gli giunse molto gradito dato che Karl mal sopportava la vita di guarnigione che conduceva a Teschen, sede del AOK e l’immobilismo dell’arciduca Federico.

A febbraio1916 l’arciduca Karl rivolse al capo di Stato Maggiore una domanda, supportata dal ministro della guerra Krobatin, al fine di ottenere un comando che non fosse legato a una scrivania. Venne così nominato Feldmarschalleutnant e, nonostante la contrarietà di Conrad, assegnato al comando del XX Corpo, composto in maggioranza da unità di fanteria di élite e dalle necessarie unità di artiglieria e logistiche. Quale capo di stato maggiore venne scelto il Colonnello Alfred von Waldstätten.

La nomina di Carlo giunse nel periodo dei preparativi per una offensiva che avrebbe dovuto portare le armate austro – ungariche dagli altopiani del Welschtirol (Tirolo italiano) fino alla pianura. Un piano ben congegnato per il quale Conrad von Hötzendorf aveva tentato di ottenere la collaborazione da parte del comando germanico, collaborazione che – sbagliando – gli fu negata; l’ostinazione di Conrad e la sua fiducia nei piani da lui elaborati nel tempo fecero sì che i preparativi avessero comunque luogo con le sole forze austro – ungheresi. I compiti di queste armate erano così stabiliti:  “zwischen Etsch und Suganatal, mit gut zusammengehaltener Hauptkraft über die Hochflächen von Folgaria – Lavarone auf Thiene – Bassano vorzustossen” (irrompere tra l’Adige e la Val Sugana con la forza principale ben coesa, attraverso gli altopiani di Folgaria – Lavarone in direzione di Thiene – Bassano) .

Per questa offensiva si misero in azione anche i servizi di disinformazione che organizzarono pure una visita di Carlo quale erede al trono al fronte carinziano ed isontino, visita condotta nel palese tentativo di confondere i servizi italiani tentando di occultare i preparativi che avevano luogo in Tirolo.

L’Offensiva di Primavera, nota in Italia come Strafexpedition (spedizione punitiva) “mancò per un soffio” i suoi obiettivi tanto per la tenace resistenza italiana quanto nelle sue fasi finali a causa della offensiva guidata dal generale russo Brusilov nella lontana Galizia e Bucovina iniziata il 4 di giugno. Il primo scopo della offensiva russa era quello di ottenere lo spostamento di forze germaniche dal teatro di guerra attorno a Verdun, come richiesto dai comandi francesi. A questa richiesta presto si unì anche l’Italia, che risentiva della forte pressione delle armate della duplice monarchia sul fronte degli altopiani. L’offensiva Brusilov costrinse anche l’Armee Oberkommando allo spostamento di truppe e al definitivo stop dell’offensiva, per attestarsi su solide posizioni arretrate chiamate Winterstellung.

 

Prima dell’offensiva Carlo inoltrò ai comandanti un ordine del giorno conservato al Kriegsarchiv di Vienna, nel quale dava voce ai suoi intendimenti dimostrando quell’attenzione nei riguardi della truppa che contraddistinse tutto il suo operato, non senza conseguenze; la guerra infuriava già da più di due anni e non era più tempo di proclami rivolti alla buona volontà. Nel suo ordine del giorno rivolgeva esplicite minacce a quei comandanti che avessero sacrificato alla fretta per la buona riuscita dell’offensiva troppi soldati; meglio una offensiva condotta con maggior lentezza e attenzione che il sacrificio di troppo Menschenmaterial (materiale umano). A suo dire l’odio nei confronti del Erbfeind (nemico ereditario) era così alto che non sarebbero stato necessario causare eccessive perdite tra i soldati con inutili assalti. Proibito anche inseguire il nemico in fuga, meglio consolidare le posizioni conquistate e aspettare contrassalti che avrebbero causato molte perdite agli attaccanti.  Carlo esortava anche a non sottostimare mai il valore delle proprie truppe nei confronti di quelle avversarie, definite comunque inferiori. Non manca una nota nei riguardi dei futuri feriti che avrebbero dovuto venir soccorsi il più presto possibile, mentre i soldati combattenti avrebbero dovuto venir sempre ben riforniti di viveri: questi due punti Carlo li descrive quale sacro dovere dei comandanti. Interessante anche il punto 5, nel quale proibisce in modo categorico di dare l’ordine che non siano fatti prigionieri.

Chiude con una esortazione alle truppe che vale riportare per intero:  “ich verbiete auf das Strengste das Stehlen und Plündern und unnütze Zerstören. Jeder Soldat des XX: Korps muss von den Überzeugung durchdrungen sein, dass wir die Trager der Kultur sind, auch im Lande des Verräters (proibisco in maniera categorica furti, saccheggi e inutili distruzioni. Ogni soldato del XX Corpo deve essere intimamente convinto che noi siamo i portatori della cultura, anche nella patria dei traditori).

L’ordine del giorno di Carlo va analizzato con attenzione essendo il primo scritto da comandante sul campo nel quale esplicita alcune delle sue idee sui metodi di conduzione della guerra. Le raccomandazioni sulla necessità di evitare lo spreco di vite umane, così drammaticamente tipico in tutti gli eserciti della prima guerra mondiale, dimostra sì buona volontà, ma arriva in un momento nel quale per gli Imperi centrali la vittoria è ancora a portata di mano e di certo non va nella direzione della volontà di Conrad o dei suoi omologhi germanici. La nota sulla cura dei feriti è di certo scritta con il cuore, ma non rispecchia la realtà di un campo di battaglia del 14 – 18 campi sui quali a volte era impossibile anche solo potersi muovere; diversi gli esempi di tregue per la raccolta dei feriti rifiutate dagli uni o dagli altri nel tempo, rifiuti che alla umanità anteponevano le necessità della guerra, vere o presunte. Anche la nota sui saccheggi, pur corretta, rispecchia scarsamente le condizioni di vita dei soldati: la fame fa presto la sua apparizione negli imperi centrali e a dispetto di ogni tentativo l’esercito non è certo meno affamato della popolazione civile. Il saccheggio quindi è una sorta di premio, di compensazione difficile da eliminare. Da osservare come Carlo usi il termine Erbfeind (nemico ereditario) per indicare il Regno d’Italia, rifacendosi così al proclama di FJI del maggio 1915 nel quale vengono ricordate le glorie militari del passato, né dimentica l’accenno alla Kultur, punto molto sfruttato in senso negativo per gli imperi centrali dalla propaganda dell’Intesa.

Buona volontà e ingenuità, volontà di fare bene e del bene che si scontrano con la realtà di una guerra in corso da quasi due anni.

  • Piazza Beato Carlo I d'Austria a Castel Tesino (Foto S.Gamper)
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