Briciole di memoria: Cani “redenti”
Quando, nel 1915, i nostri soldati passarono il vecchio odioso confine e balzarono avanti, contro gli Austriaci, alla liberazione di Trieste, trovarono i paesi deserti e saccheggiati. Chi era fuggito a tempo e venuto in Italia, a chi era stato arruolato nell’esercito austriaco e mandato a combattere contro i Russi, chi era stato inviato nell’interno e costretto a mangiare pane di paglia.
Erano rimasti solo i cani. I nostri soldati ne trovarono un gran numero, senza padroni. I nemici li avevano lasciati per economia, perchè non avevano cosa dar loro da mangiare. Erano bestie sporche, mal ridotte, magre e imbruttite dalla fame.
“Tuttavia – ricorda G. Caprin – anche sotto l’apparenza spaurita e meschina a cui erano ridotti, in qualche bassotto o in qualche setter si riconosceva il cane che doveva aver appartenuto a un ufficiale austriaco o, peggio, a qualche borghese austriacante; cane abituato a mettersi in piedi davanti al ritratto dell’imperatore d’Austria e alla salsiccia di Vienna, e ad abbaiare all’arcobaleno, perchè pare, in cielo, un gran tricolore d’Italia.”
I nostri soldati accolsero tutti questi cani randagi, divisero con loro il buono e abbondante rancio e ne fecero i loro più fedeli amici. Gli intelligenti animale rifecero il bel pelo, colmarono di muscoli i fianchi rientranti e stecchiti, tornarono allegri e irredentisti.
Invece di abbaiare all’arcobaleno, stavano di guardia nelle trince e davano l’allarme, quando al di là delle feritoie rumori indistinti e movimenti inavvertiti facevano loro capire che una pattuglia nemica preparava un agguato per i nostri soldati.