von mas 30.06.2024 11:45 Uhr

Franz Ferdinand e l’Europa dei Popoli

Un’interessante riflessione dell’amico e lettore Rosario Di Maggio, a 110 anni dall’attentato di Sarajevo: “La morte a Sarajevo bloccò in modo fatale  il sogno di una confederazione di autonomie locali coordinate da una Istituzione Centrale con competenza di coordinamento”

Immagine IWM di pubblico dominio

28 giugno 1914

L’attentato di Sarajevo, che costò la vita a milioni di persone, avvenne esattamente 110 anni fa. Credo sia un fatto storico universalmente noto, per le conseguenze catastrofiche che ebbe sull’esistenza di popoli e individui.

E non mi riferisco solo alla “Grande Guerra”, ma anche a quella che, dalle ceneri di un trattato di pace vessatorio più simile a una precaria tregua, sarebbe scaturita poi, con l’ascesa del nazismo.

E’ un fatto così tremendo e così “moderno” e attuale, le cui  analogie storiche con i tempi che stiamo vivendo sono sorprendenti, anche oltre a quanto è immediatamente percepibile. E le riflessioni possibili mi paiono veramente interessanti

 

 

Gli Stati Uniti della Grande Austria erano un progetto di riforma radicale dell’Impero,  sostenuto con passione dall’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, principe ereditario, e da sua moglie Sophie Chotek von Chotkowa, entrambi uccisi a Sarajevo.

Complesse sono le ragioni per le quali il principe ereditario era giunto alla convinzione che fosse necessario perseguire un forte rafforzamento del potere centrale di ciò che era l’impero, fortemente indebolito dal dualismo istituzionalizzato dall’Imperatore Francesco Giuseppe.

L’Ausgleich, una riforma del 1867, che prevedeva l’unione, in forma sostanzialmente paritaria, dell’Impero d’Austria, a guida austriaca, con il Regno d’Ungheria, a guida magiara.

L’idea che sosteneva l’arciduca Francesco Ferdinando era quindi di rafforzare il sistema centrale, alla condizione essenziale di riconoscere la concessione di fortissime autonomie territoriali.

Ridisegnando radicalmente la carta politica dell’Impero, si sarebbe creata una sorta di confederazione, con Stati semi-autonomi, aggregati attorno a un forte potere centrale. Mirabile intuizione, direi, e unico farmaco disponibile alla malattia degenerativa dei nazionalismi che avrebbero stracciato l’intera Europa nel corso di due devastanti conflitti.

Ma bisognava capirlo in tempo, non arrivarci per contrarietà. La morte a Sarajevo bloccò in modo fatale la riforma, il sogno di una confederazione di autonomie locali coordinate da una Istituzione Centrale con competenza di coordinamento, avviando il destino dell’Impero Austro-Ungarico alla dissoluzione.

 

 

Quel disegno, quel sogno, quella riforma, aggiornati ai nostri giorni, sono ancora lì, a interrogarci, su quale tipo di Europa Unita vogliamo veramente. O la somma di nazionalismo ottocenteschi ancora non domi, ma sempre più disfunzionali; o l’unione di territori autonomi, in grado di scegliere e governare il modello di sviluppo locale deciso da chi appartiene a quelle comunità sociali, economiche, culturali e linguistiche.

Comunità che affidano a una forte autorità centrale poche, pochissime e indispensabili competenze, quali politica estera e difesa e poco più, accettando la sfida di assumersi la responsabilità dell’autogoverno locale

L’attentato di Sarajevo, insomma, uccise il sogno di un’Europa veramente dei Popoli, per consegnarci alla follia della violenza nazionalistica. La stessa violenza che agita ancora i sogni inquieti delle cancellerie europee, più di un secolo dopo.

Lo stesso sopruso che ancora oggi, nella democraticissima Europa, impedisce alle Comunità di scegliere il proprio destino, vincolate come sono, in un mortale abbraccio fraterno, agli Stati centralisti che le comprendono a forza.

Quel primo sangue, seguito da fiumi di sangue, macchiò tutto e tutto cancellò. La Grande Guerra finì con il trionfo del centralismo e del nazionalismo, un po’ ovunque. Il federalismo europeo fu soffocato in culla.

Ed è ancora la stessa logica degli stati ottocenteschi che governa le Istituzioni Europee, al di là delle dichiarazioni di facciata; basta seguire le modalità post-elezioni di questi giorni, con l’evidente prevalere delle ragioni di Stato sulla logica dell’interesse delle Comunità.

Chissà che avrebbero da dire, oggi, se fossero con noi, di questa Europa politica, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, principe ereditario, e la sua amata moglie Sophie Chotek von Chotkowa?

A me, il loro sogno, attualizzato, sembra l’unica via ragionevole per uscire da questa crisi di rappresentatività che patisce la democrazia. E siccome è ragionevole, probabilmente non se ne farà nulla.

Jetzt
,
oder
oder mit versenden.

Es gibt neue Nachrichten auf der Startseite