Heimat, una storia 3° – Ore 7.30
Aveva appena finito di mungere le vacche, ripose in un angolo lo scaign per mònzer , rigovernò la stalla, prese il forcone e diede il fieno agli animali e con una pala caricò la grassa sulla rudimentale carriola fatta di assi di legno e scaricò il tutto fuori, ancora fumigante sul mucchio coperto di neve, da dove poi, una volta stagionato il letame, e trattato a dovere, ne avrebbe tratto il concime futuro; aprì la finestrina minuscola per cambiare l’aria della stalla ed a passi lenti si diresse verso il pollaio stando attento, per quanto possibile, ad evitare le sghitte delle galline, controllò con attenzione nella paglia e vi prese le preziose uova ancora calde, con cui tornò in cucina dalla Catina, la moglie.
Si sedette sulla lunga e stretta panca poiché si sentiva già stanco, ormai gli accadeva sempre più spesso, anche dopo un lavoretto da nulla… e si ritrovò a riflettere di come si sentiva diversamente nei tempi andati, quanto vigore in più aveva, pareva non dovesse finire mai, un lavorare continuo, da prima dell’alba a dopo il tramonto, sempre, immancabilmente, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, stagione dopo stagione… e quando la natura si prendeva la sua pausa, nel lungo inverno, si dovevano integrare i guadagni e allora dalla valle chi aveva famiglia partiva: partivano da kromeri per il ziro che li avrebbe portati a girare per le fattorie del Tirolo, su su, fino ai Sudeti, alla Boemia, alla Moravia, partivano da pastori e i malgari per la pianura veneta o lombarda dove c’era sempre bisogno di gente abile e volenterosa come i mòcheni e partivano pure da cavatori e da stradini, come il Bepi, insomma, si andava lontano a fare qualunque lavoro si potesse trovare per dar da mangiare alla famiglia, quando la terra dormiva e mangiare non ne dava.
Erano anni bui quelli – gli anni delle opzioni – le camicie nere battevano la valle per convincere i contadini a restare: dopo aver passato diciott’anni a terrorizzarli, brutalizzarli e vessarli, improvvisamente i nuovi padroni erano diventati gentili e suadenti, tutto per evitare di ritrovarsi con l’intero territorio senza un solo contadino in grado di saper tirar fuori qualcosa da quella impossibile terra di montagna.
D’altra parte forse erano ancora più inquietanti e incredibili le promesse fatte dalle camicie brune che cominciarono anche loro a ricordarsi di quella valle sperduta: “ognuno avrà nel Reich il posto che gli è stato levato qui, ogni famiglia avrà diritto esattamente a ciò che aveva qui, ne’ più ne’ meno” e così i contadini cominciarono a mandare i loro figli a contare gli alberi che avevano, vista la promessa di riottenerne lo stesso numero nel Reich millenario, non uno di più, non uno di meno …
Nei giorni immediatamente antecedenti il termine delle opzioni, cominciò addirittura a circolare la leggenda che l’unico modo per non partire, sarebbe stato proprio quello di “scegliere tutti di partire”, poiché il Fuhrer, visto il plebiscito d’amore della popolazione sudtirolese, avrebbe deciso di impuntarsi con Mussolini e finalmente far tornare il Sudtirolo alla madrepatria, ovviamente per i dableiber, cioè per i non-optanti il destino sarebbe stato il trasferimento forzato al sud, se non in Sicilia…
Per quanto i fascisti si sforzassero di giurare e spergiurare che avrebbero trattato i dableiber col massimo rispetto e soprattutto che nessuno sarebbe mai stato trasferito al sud, dopo 23 anni di bugie, nessuno poteva più credere ne’ all’Italia ne’ soprattutto agli italiani.
Tutti avevano vissuto il tradimento perpetrato nel 1915, e quello del 1918 quando, dopo essere stati “redenti” a cannonate”, fu loro promesso che nessun sopruso sarebbe stato perpetrato ai danni della popolazione ed invece cominciarono i licenziamenti di tutti gli impiegati pubblici, dai postini agli insegnanti ai ferrovieri, che non sapessero parlare nella lingua del vincitore.
Dopo 3 anni poi arrivarono le camicie nere, chi dalla pianura padana e chi direttamente dai ranghi degli ultrairredentisti Legionari Trentini e giù manganellate ed olio di ricino, poi il primo morto alla fiera di Bolzano, e infine la bestialità del programma di Ettore Tolomei, il boia di Gleno, ed improvvisamente tutti si ritrovarono col cognome cambiato, a vivere in un posto con un nome diverso, a fare il saluto fascista a “sognare l’Italia romana”, come recitavano le omnipresenti scritte sui muri, ed a non poter più parlar tedesco né insegnarlo ai figli, pena olio di ricino, manganello e per i più riottosi, addirittura il confino.
E così, dopo 23 anni di tradimenti, di promesse disattese, di bugie, chi poteva più avere alcuna fiducia nelle promesse degli italiani?
Poi la speranza dell’anschluss, di una Germania forte che ora arrivava al Brennero e che invece seppe subito trasformarsi in disillusione dopo il patto d’acciaio con Mussolini: duecentocinquantamila tirolesi non valevano evidentemente quaranta milioni di italiani.
Ed allora l’idea diabolica: spostare le persone anziché spostare i confini. I sudtirolesi ed i ladini e con loro anche gli allogeni (così venivano chiamati) del Trentino, ossia appunto i mòcheni ed i lusernesi, avrebbero dovuto scegliere una volta per tutte tra l’identità e la terra, tra il rimanere ciò che erano nel Reich oppure rimanere dov’erano, rinunciando definitivamente a ciò che erano …
In quelle concitate giornate in cui in ogni famiglia non si parlava d’altro, partire o restare, lui, il Bepi si ritrovò invece a partire per la Germania, dove una ditta locale cercava operai stagionali, e fu così che scese a piedi fino a Canezza, passò la porta della valle, il dòs del Ciùs, si diresse verso Pergine, da lì a Trento e infine prese il treno per il Brennero.
Le “puntate” precedenti:
Per chi si fosse “perso” qualche pezzetto di questa storia, ecco i link alle “puntate” precedenti: