Briciole di Memoria: Cercando Emanuele
Nelle ultime settimane, per la rubrica Briciole di Memoria qui su UT24, stiamo cercando e raccontando qualcuna delle storie dei nostri soldati, dispersi e caduti sui vari scenari della guerra: dalla Galizia ai Balcani, dalla Romania al nostro fronte, quello tirolese.  Le notizie pubblicate dal Foglio Annunzi Legali oppure ricavate da ricerche d’anagrafe e nei database storici, sono spesso scarne, talvolta invece permettono di ricostruire quasi completamente “piccole storie” di morte e disperazione, minuscoli tasselli personali e familiari della grande tragedia collettiva che si abbattè sulla nostra Terra e su tutta l’Europa.  Il nostro intento è quello di contribuire, nel nostro piccolo, ad accendere qualche “lume di candela” sul nostro passato e sulla nostra storia.
Questa volta però è successo proprio il contrario: è stata una di queste storie a venire a cercare la nostra redazione, per farsi raccontare. Â
Federico è un nostro lettore. E’ appassionato di Storia, ma soprattutto è un “raccoglitore di storie”: per fortuna, praticamente in tutte le nostre famiglie ce n’è almeno uno…  Dopo aver letto alcune delle vicende narrate in questa serie di Briciole di Memoria, ha contattato la nostra redazione:  quella di suo prozio Emanuele, ci ha detto, non era una storia particolarmente straordinaria, anzi, era fin troppo comune e somigliava terribilmente a quella di moltri altri dei nostri prozii, nonni e bisnonni, perduti nel tritacarne della guerra e poi quasi morti una seconda volta, vittime dell’oblio. Ma lui era riuscito a ricostruirla almeno in parte e gli piaceva l’idea di vederla raccontata sul nostro portale: gli pareva, così, di rendergli omaggio, di recitargli una preghiera, di farlo riposare più tranquillo, ovunque fossero le sue spoglie. Â
Per uno di quei casi strani e oltremodo fortuiti che accadono ogni tanto e che ognuno di noi spera sempre gli caschi addosso mentre cerca le tracce dei suoi antenati dispersi, la nostra collaboratrice Manuela Sartori ha ritrovato, in uno dei suoi tanti cassetti di elenchi e documenti, proprio l’atto di morte di Emanuele, redatto dal Feldkurat al momento del decesso: lì vi sono annotati, con precisione asburgica, il giorno, il luogo, la causa della morte e, soprattutto, il luogo esatto della sepoltura.
Più che una candela, per Federico si è acceso un faro: ha trovato la tessera centrale del mosaico, quella che da tempo cercava per riuscire a districare i fili della breve vita di Emanuele e poterla narrare.  Ora manca solo una croce: non è certo che esista ancora, però adesso sa dove cercarla…
Oggi allora vi raccontiamo la storia di Emanuele Sommadossi da Calavino. Con la speranza, un domani non lontano, di poter raccontare anche che abbiamo ritrovato la sua tomba.
Emanuele Sommadossi, da Calavino alla "Rumenia"
Alla fine del 1800 la famiglia Sommadossi, originaria di Ranzo, è fittavola del Maso Casale, posto poco sopra Sarche, nella parrocchia di Calavino.  Felice Sommadossi e la moglie Leopolda Fantini hanno ben 14 figli in vent’anni. Come spesso accade in quell’epoca, sei muoiono in tenerissima età (Primo, il primogenito del 1896, Maria Angelina del 1904, Giovanni, nato nel 1910, Emma mel 1913, Rosina nel 1916; ma anche Oreste, nato nel 1897 e perito tragicamente a tre anni cadendo in un burrone sul Monte Casale).
I destini degli altri somigliano a quelli di tanti altri dei nostri nonni e nonne: ragazze che diventano donne e si sposano, uomini che cercano lavoro e fortuna dove e come possibile, anche emigrando in Argentina o scommettendo sul futuro di una Madonna di Campiglio ancora in divenire.
E poi c’è il destino del terzogenito Emanuele, nato il 18 novembre 1898 e presto diventato il maggiore dopo la morte dei due fratelli e quindi principale sostegno dei genitori nel lavoro dei campi e delle altre faccende di famiglia. Nel 1911 Felice Sommadossi diviene mezzadro della Mensa Vescovile di Sarche e con la famiglia si trasferisce al “Cason Ros”: il lavoro è ancora duro e impegnativo, ma la vita sembra diventare più facile… Però il sollievo dura il tempo di un respiro, e termina quando, nel 1914, scoppia la Guerra.
Troppo giovane per essere immediatamente richiamato, Emanuele è comunque assoldato come lavoratore militarizzato e impiegato fra Riva e la Valle di Ledro. Poi nel 1916, a soli diciotto anni, viene inviato sul fronte orientale, là dove infuriano le battaglie della Campagna di Romania.
Non sappiamo a quanti assalti prende parte, in quali battaglie vede passare la morte appena lì, ad un passo da lui. La guerra di Emanuele dura circa un anno, forse nemmeno. Il giorno 8 novembre 1917 mancano 10 giorni al suo diciannovesimo compleanno, ne mancano solo 31 alla firma dell’armistizio sul fronte romenoÂ
Emanuele Sommadossi, Jäger del K.K. Battaillon Süd-West /7, viene mortalmente ferito da un colpo che gli trapassa i polmoni a Vulturu de Jos, distretto di Putna; è sepolto il giorno successivo, nella tomba numere 167 del cimitero militare numero 6 di Vulturu de Sus.Â
Ma queste notizie così precise e dettagliate non giungono al “Cason Ros” delle Sarche, lì arrivano solo le voci, indistinte e non certe, di una morte terribile, con il ventre squarciato da una bomba. Infatti, il 18 novembre 1922, nel giorno del ventiquattresimo compleanno di Emanuele, quando egli ormai da cinque anni dorme il suo eterno sonno fra le colline rumene, sul Foglio Annunzi Legali appare “l’avviamento della procedura per la dichiarazione di morte di Emanuele Sommadossi, che quale soldato austro-ungarico prese parte alla campagna contro la Rumenia e dovrebbe esser morto di ferita nell’ottobre 1917″.
A presentare l’istanza è Leopolda Sommadossi vedova di Felice. Il padre di famiglia è infatti morto di malattia il 6 novembre 1918, in pieno “rebalton”, lasciando la povera donna costretta a tirar su da sola la metà dei figli che le rimane, tutti di minore età .
Il Feldkurat Valdemarin
A registrare la morte di Emanuele nello Sterberegister è il Feldkurat Igino Valdemarin, figura che merita alcune ulteriori righe nel nostro racconto. Nato nel 1886 a Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia, divenuto sacerdote nel 1909, operò prima a Cormons, poi a Gradisca quindi a Gorizia. Al termine del conflitto, rientrato in una patria ormai cambiata e divenuta italiana, “fu un’autorevole presenza, fra spirito latino e rigore tedesco, nel difficile contesto imposto dal nazionalismo italiano. Egli promosse, nei limiti del possibile, la secolare convivenza di tradizioni culturali e linguistiche (tedesca, italiana, slovena), muovendosi fra la comune esperienza maturata nella civiltà mitteleuropea e l’attenzione alla pressione, sia politica sia ecclesiastica, esercitata dal potere italiano … Il suo lungo tramonto vide l’esprimersi della sua vitalità interiore e della sua passione culturale nella ricerca storica. Curò anche la raccolta della sua produzione poetica, soprattutto in friulano. Morì a Gorizia il 14 aprile 1965.”
Notizie tratte dal “Dizionario biografico dei friulani”