von Vanessa Pacher 16.06.2022 11:45 Uhr

Voci di montagna- Il ragazzo e la capra

Avventure ed eroie delle nostre valli

Gregge Laner - capra allatta agnellino

È bello riandare col pensiero per i sentieri antichi, respirare il profumo di mille fiori, di terra bagnata, di aria pulita, ritrovare nella lenta cadenza dei vecchi leggende ormai dai più dimenticate che narrano di pastorelli e capre, di incantesimi e magie. E sempre, i protagonisti più importanti di queste storie sono ragazzetti coraggiosi che vagano soli sulla montagna, che affrontano mille incognite, resi forti dal loro cuore puro e da una profonda, ingenua bontà che il continuo contatto con la natura ha reso poesia.
Una di queste leggende, tramandata di generazione in generazione quando, alla sera, i villici si riunivano attorno al focolare o nella stalla per «far filò», si intitola appunto: Il ragazzo e la capra.

Un tempo abitava in paese una donna dal cuore duro che aveva un figlio e quindici capre. Il figlio era molto bello ed intelligente, buono e volonteroso ma lei amava molto di più una capretta bianca con una stella nera in fronte.
Ogni mattina, la donna svegliava per tempo suo figlio, gli metteva in mano un tozzo di pane e gli diceva: – Svelto, svelto, alzati e porta le capre a pascolare là dove l’erbaè più tenera e l’acqua sorgiva più fresca. Questa sera, quando tornerete chiederò alla mia Stellina se hai fatto il tuo dovere. Se mi risponderà di no, ti darò tante busse da ricordartele tutta la vita –

 

 

Il ragazzo, buono com’era, non se n’aveva a male per queste parole e non rispondeva come sarebbe stato giusto « Cara madre, io ilmio dovere l’ho sempre fatto ». Si alzava svelto, svelto, faceva uscire le sue caprette dalla stalla e, zufolando allegramente, si avviava con esse verso i prati alti. Lì giunto il ragazzo si fermava, le caprette brucavano tanta erba finchè ne erano capaci, poi, quando il cielo cominciava a sfumare nella sera, tutti quanti tornavano felici e contenti a casa. Il ragazzo, allora, apriva la porta della stalla e vi faceva entrare le capre una per una, così da poterle contare tranquillamente. Una sera però invece di quindici ne contò quattordici. Sor-
preso pensò „Eh! Forse che io non sia più capace di contare?“
Fece nuovamente uscire le bestie di stalla e tornò da capo. «Una… due… tre… » A questo punto si accorse di sua madre che poco distante, stava fissandolo truce con le mani sui fianchi.
《…. quattro… cinque …》 continuò imperterrito il ragazzo mentre il cuore cominciava a tremargli di paura.
«Dov’è la mia Stellina?», sbraitò la donna che aveva già fatto il conto e scoperto chi mancava.
«Non lo so… forse sta arrivando… forse è tornata fuori nel prato a brucare… »
«Fuori!!!» gridò la donna « Torna sulla montagna e cerca la mia capretta. Se non la trovi non tornare nemmeno più a casa! » Le prime stelle brillavano ormai in cielo e la cima del monte era sprofondata nell’oscurità. Il povero ragazzo non si era mai trovato a vagare solo dopo il tramonto ma la paura di sua madre fu tale che, senza protestar oltre, si incamminò subito per tornare sui prati alti. Cammina, cammina, chiama, chiama, di Stellina non sembrava esservi traccia. Ogni fruscio riempiva di paura il cuore del ragazzo, ogni alito di vento gli sembrava una presenza soprannaturale.
Cammina, cammina, chiama, chiama, il pastorello vagò inutilmente tutta la notte. All’alba si ritrovò tanto stanco, che, appoggiatosi ad un albero chiuse gli occhi per dormire. «Ehi, che fai qui?» brontolò una vociaccia. Il pastorello, riaprì terrorizzato gli occhi e si trovò davanti una vecchia strega, gobba e zoppa, con pochi capelli irsuti in testa ed un dente solo.
«Iiii! Al piccino non piaccio, » sghignazzò la megera. E, irritata,
prosegui urlando „Rispondi! Che fai da queste parti? “ Allora il ragazzo, tremando, le rispose di aver perduto una capretta e che sua madre l’avrebbe ammazzato di botte se non gliel’avesse riportata sana e salva.
La strega non disse nè ai nè bai, tirò fuori da una tasca profonda una piccola chiave, si avvicinò ad una parete di roccia poco distante e… clic, clic… con la chiave aprì una porticina che nessuno avrebbe supposto esistesse. Poi, guardando di sottecchi il ragazzo, „Vieni», gli disse. Ed entrò. Il pastorello, tremando di paura la seguì. Si trovò in una enorme sala. Al centro, sedute attorno ad untavolo rotondo vi erano moltissime streghe tutte brutte come quella che l’aveva fatto entrare. In mezzo al tavolo stava una pentola fumante da dove, a turno, ogni strega estraeva un pezzo di carne da divorare famelica. Gli ossi, poi, ben succhiati e ripuliti, venivano dalle streghe gettati sopra una pelle di capra stesa per terra. La prima megera, con uno spintone scostò due consorelle e, spingendo avanti il ragazzo, mugugnó: E un mio ospite. Poi gl’ingiunse „Mangia!“ Il ragazzo che, nonostante la paura aveva una gran fame in corpo, non se lo fece ripetere due volte. Allungò la mano e tirò fuori dalla padella un pezzo di stinco cotto a puntino e saporitissimo. Poi si servì ancora e ancora, gettando gli ossi, come facevano le streghe, sulla pelle di capra. Tutti meno uno. Chissà perchè, forse per spirito di contraddizione, nascose nella scarpa uno degli ossicini. Fortuna volle che nessuna strega si accorgesse del suo gesto. Finito che ebbero di mangiare gli occhi di tutte le megere si puntarono sul ragazzo. «Che grassottello!» esclamò con voce roca una, „Che tenerello!», rincarò un’altra socchiudendo gli occhi nel guardarlo! «Eh… è giovane, giovane… », commentò una terza. Le altre non ebbero bisogno di parlare. Al povero ragazzo si gelò il sangue nelle vene. Non occorreva molto acume per capire che le megere stavano già pensando al prossimo pasto. Fortunatamente quella che lo aveva avvistato per prima si sentì esautorata dalle consorelle che, senza chiederle il permesso già disponevano della sua proprietà. Desiderando perciò vendicarsi del loro ardire decise di salvare la vita del
ragazzo. Furente, balzò sulla tavola arringando la folla di megere.
«Non smetterete dunque mai», gridò loro, „di grufolare nel mangime? Sono anni che vi servite dei poteri magici solo per procurarvi cibo. Chi di voi si ricorda ancora l’incantesimo della gallina nera, quello per ottenere la protezione del demonio, come far nascere due diavoli da due occhi di gatto, come ci si può far amare per mezzo di un pipistrello, come ci si vendica di una persona? Buffone! Scommetto che non sareste più capaci nemmeno di far risuscitare una capra!“
„Villana, bugiarda, fedifraga!», urlarono le streghe in coro. „Parli così perché vuoi portarti lontano ragazzino, arrostirtelo e mangiartelo da sola!» Fra accuse e controaccuse, ingiurie e maledizioni si andò avanti un bel pezzo. Infine la prima strega, temendo di venir sopraffatta dalle altre disse: „Le vostre accuse sono assurde. Ammetto che voi non meritate i miei rimproveri. Io però non merito i vostri. E affinchè fra noi non rimanga ombra di sospetto vi faccio una proposta: lasciamo che questo ragazzo ritorni sano e salvo a casa sua». Al pastorello si allargò il cuore dal sollievo ma poi pensò « A casa mia! Hanno un bel cianciare queste qui ma io, senza la capra non posso tornare a casa mia ».
«Perchè?» urlarono le streghe, che evidentemente sapevano leggere nel pensiero. Allora il pastorello, con voce tremante disse: „Mia madre possedeva una bella capretta bianca con una stella nera in fronte. A quella capretta aveva donato tutto il proprio affetto. Io, senza volerlo, l’ho perduta. Ora non posso più tornare a casa senza averla ritrovata altrimenti mia madre mi ammazzerebbe di botte ».
Le streghe si guardarono l’un l’altra sogghignando.
«Una bella occasione per dimostrare che non avete perduto i vostri poteri “ , insinuò una. Detto fatto le megere si posero in cerchio attorno alla pelle di
capra stesa per terra con sopra tutti gli ossi del pranzo e, cominciando a girare in tondo, salmodiarono:
«Barbatos, capretta felice sotto la giurisdizione di Satanchia, nostro capo, coadiutore del Sommo Imperatore Lucifero, generalissimo degli eserciti degli spiriti infernali, RISUSCITA! » La pelle di capra tremò, si sollevò un poco. Le streghe continuarono a giraremin tondo sempre più veloci, ed a ripetere la formula magica. Ed ogni volta che la ripetevano, la pelle si tendeva, gli ossi si disponevano come lo scheletro di una capra, poi si rivestirono di carne, poi la pelle si richiuse sopra e la capretta Stellina cominciò a saltabeccare vispa e felice per la gran sala.
«Ahahaha… » urlarono le streghe in coro, « chi ha messo in dubbio che noi avessimo perso i nostri poteri? Che ne pensi ragazzo? Vuoi che mangiamo ancora la capretta e poi torniamo a farla rivivere? Ahaha!!! » Ma la prima strega infuriata per il fatto che la sua vendetta si stava trasformando in un bel divertimento per tutte le odiate consorelle, afferrò il pastorello, gli gettò in braccio la capretta e, con uno spintone, lo cacciò fuori dalla sala. Il ragazzo si trovò così all’improvviso e inaspettatamente libero davanti ad una nuda parete di roccia, proprio in cima ad un erto prato. Quanto tempo
era trascorso da quando era partito da casa? Mah…! Allora era notte, ora era notte. La stessa o un’altra? Inutile porsi tante domande. Molto meglio allontanarsi velocemente da quel luogo e mettersi in salvo da un eventuale ripensamento delle streghe. Così il pastorello, posta in terra Stellina le sussurrò: «Corri capretta, corri, dobbiamo tornare a casa in un battibaleno». E spiccò un salto cominciando poi a correre disperatamente. Si voltò. Dietro a lui veniva anche la capretta, a fatica, zoppicando. Fu soltanto allora che il pastorello si ricordò dell’ossicino che si era nascosto in una scarpa. Ma ormai non vi era più nulla da fare. Nè lui, nè altri avrebbero avuto il coraggio di tornare da quella congrega di megere ad implorare aiuto. La capretta sarebbe rimasta zoppa per tutta la vita. Il pastorello, piangendo, se la prese in collo, e con lei, tornò a casa, dalla madre cattiva che però non lo avrebbe mangiato arrosto.

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