von mas 14.11.2019 06:45 Uhr

Briciole di Memoria 141: Il Colonnello ordinò, fucila 15 uomini.

L’appuntamento settimanale con Massimo Pasqualini: aneddoti, racconti, ricordi ed immagini dal Tirolo di Lingua romanza. Era il settembre del 1964, ecco cosa successe nel paese di Tesselberg…

Tesselberg

Era il settembre del 1964, ecco cosa successe nel paese di Tesselberg  – che gli italiani avevano ribattezzato Montassilone –  durante i rastrellamenti fatti dall’esercito italiano e dai carabinieri per contrastare i Freiheitskämpfer-Combattenti per la libertà della terra Tirolese appartenenti al B A S (Befreiungsausschuss Südtirol).

Il tutto è raccontato dal Sig. Giorgio Cecchetti che fu testimone di quanto accadde. Lo riporto come lo ha scritto lui, con la toponomastica da lui utilizzata.

 

“ROMA – “Mi disse di mettere al muro e fucilare quindici altoatesini, mi gridò di bruciare il paese, di radere al suolo Montassilone, arroccato in Val Fundres. No, non eravamo in guerra. Era il 12 settembre del 1964”.

Il generale dei carabinieri Giancarlo Giudici ha 72 anni e memoria vivissima. Quell’ordine di morte impartitogli dal colonnello Franco Marasco, comandante della Regione, e che si rifiutò di eseguire, gli ha martellato nella testa per tutta una vita. Quel “no” gli è costato la carriera, lo ha consegnato a una vita di marginalità professionale, ma ne ha fatto un uomo sereno, con la coscienza pulita, fedele al giuramento di fedeltà alla Repubblica. Soltanto gli anni hanno scolorito il rancore e il risentimento.

“Ho dovuto dimenticare per non impazzire. E ora credo che sia il tempo di ricordare, di raccontare che cosa è stata l’ Arma dei carabinieri nelle mani del generale Giovanni De Lorenzo…”.

E’ una testimonianza che conferma come il focolaio eversivo in Alto Adige fosse utilizzato da De Lorenzo e dal Sifar di Allavena per irrobustire quella “situazione di emergenza” che doveva dare il “la” al tentativo golpista. Il nome di Giancarlo Giudici è riemerso nei giorni scorsi dalla storia più recente dell’ Arma, nel canovaccio dell’ Italia dei misteri e delle stragi quando L’ Espresso ha pubblicato integralmente i diari del generale Giorgio Manes, ufficiale che per primo ebbe il coraggio di affermare che, sì, il piano Solo non era altro che un tentativo golpista e che “molti attentati in Alto Adige furono simulati dal controspionaggio”.

 

Esercitazioni durissime

Il generale Gianfranco Giudici non ha mai fatto parte del controspionaggio. Racconta: “Ero allora tenente colonnello e comandavo un battaglione della brigata meccanizzata dei carabinieri. De Lorenzo mi provò, per così dire, in alcune durissime esercitazioni. Mi stimava, aveva fiducia in me. Mi venne paventato un intervento dell’ Arma in caso di gravi disordini pubblici. Partecipai a qualche riunione. Ci dissero che dovevamo vagliare la disponibilità degli uomini ad intervenire, la loro determinazione ad usare le armi anche contro i civili. Mi fu ordinato di tenermi pronto per occupare la sede della Rai.

Ma la situazione in Alto Adige stava precitando. Staccarono il mio battaglione in Val Passiria. Mi ritrovai su quelle montagne con una compagnia comando, due meccanizzate, una carri con gli autoblindo M47 che dopo un’ora si fermavano, una compagnia mortai e 850 uomini senza nessun addestramento, non avevano mai sparato con un Fal, nemmeno visto un Mab.

Con questa truppa il primo settembre mi sistemo per il campo. Ho appena fatto alzare le tende che giunge notizia della recrudescenza degli attentati. Alois Amplatz, uno dei capi del Befreiungsaktion für Südtirol, il movimento per la liberazione del Sudtirolo, era stato ucciso da un agente del Sifar.

Si susseguivano gli attentati. Il 3 settembre fu ammazzato a Selva dei Molini il carabiniere Vittorio Tiralongo. Mi ordinano di disporre un rastrellamento in Val Pusteria con un fronte di cinque chilometri dalla zona pedemontana a cinquecento metri fino su a duemila metri. Un lavoro impossibile.

Gli attentati si susseguono. Un mina a strappo fa saltare una campagnola. Muore un carabiniere, un secondo perde una gamba, il terzo perde un occhio. Al funerale c’ è De Lorenzo, con lui il capo del Sifar Allavena. Sento dire a De Lorenzo: controllate i nomi di chi non ha rispettato il lutto cittadino e segnalateli in Questura.

E’ il 12 settembre. Il rastrellamento è ancora in corso. Cinque pattuglie da combattimento vanno su per la montagna quando si sentono degli spari. Localizzo il posto, vi faccio convergere gli uomini. C’ è un carabiniere ferito, gli hanno sparato da un capanno. Sto riorganizzando gli uomini.

Atterra un elicottero degli alpini. C è il colonnello Marasco. Mi affronta gridando: ‘Hai fermato quindici persone? Bene. Mettili al muro e fucilali’. Non credo alle mie orecchie. Gli dico: ‘Io posso soltanto contestare loro dei reati. Non posso fare altro…’ . Marasco grida ancora: ‘Li devi fucilare, hai capito? Mettili al muro e, dopo, brucia tutto il paese. Radilo al suolo’ . ‘ Ma tu sei pazzo – gli urlo davanti agli uomini – Questa cose non le hanno fatte neanche i tedeschi durante la guerra’ . Morasco mi minaccia: ‘ Ti denuncio per insubordinazione’.

Lo prendo per un braccio, lo tiro via, imploro il capitano degli alpini che gli faceva da pilota di portarselo via quel colonnello fuori di sé. Grazie a Dio, il capitano mi obbedisce. Carica Morasco sull’elicottero e vanno via. Riesco a concludere il rastrellamento senza provocare altre tragedie. E scendo a valle, a Dobbiaco.

Telefono subito al Comando generale dell’Arma. Parlo con De Lorenzo. Era già stato informato che ‘il colonnello Giudici non voleva combattere’ . De Lorenzo mi dice qualche frase di circostanza, ma non censura il comportamento di Morasco.

L’ordine di trasferimento

La sera stessa arriva un dispaccio che mi solleva dall’ incarico e mi ordina di trasferirmi, in ventiquattro ore, alla Legione di Udine come vicecomandante. Vi arrivo con mezzi di fortuna.

Qualche giorno dopo, raggiungo Bolzano per incontrare il generale Carlo Ciglieri, che comandava il IV corpo d’ armata da cui dipendeva la brigata meccanizzata dei carabinieri. Gli racconto che cosa è successo. Si fa chiamare De Lorenzo. Il loro colloquio telefonico è violentissimo. Ma De Lorenzo ha più appoggi di Ciglieri nel governo. Il giorno dopo al comando del IV corpo d’ armata viene sottratta la brigata meccanizzata dei carabinieri”.

I fatti di Tesselberg sono narrati in maniera romanzata anche nel libro “Eva dorme” della  scrittrice, documentarista e sceneggiatrice Francesca Melandri.

Una lettura scenica di grande intensità è stata realizzata nel 2014, a cinquant’anni da quell’avvenimento, dal Schützenbezirk Pustertal in collaborazione con il  Südtiroler Schützenbund, Il testo della drammatizzazione “Inferno Tesselberg” è stato scritto da Verena Obwegs, referente culturale del Bezirk.

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