Appena dietro l’angolo: Le frasi famose dei nostri nonni e bisnonni austriaci

“Lianta de gnole” (scambiando le sillabe: talian de legno. Epiteto riservato agli italiani dopo la vittoriosa battaglia di Lissa del 1866, quando “uomini di ferro su navi di legno sconfissero teste di legno su navi di ferro”)
“Pajazi e regnicoli xe tuti ridicoli” (vecchio detto triestino)
“Facile, li gavemo circondài!”(due soldati del 97° reggimento in risposta alla domanda del loro tenente “Ma come gavè fato, in due, a ciapar prigionieri diciòto Russi con tute le armi?” Galizia, 1914)
“No, per il momento solo voi!”(Iginio Fonzar, undicenne, rivolto al militare italiano appena entrato a Villesse a fine maggio 1915, che gli chiedeva se ci fossero molti nemici nei paraggi).
“Gavè visto che ben che sa tirar i nostri?” (vecchietto di San Pier d’Isonzo ad un gruppo di ufficiali italiani subito dopo che una granata austriaca sparata dal Carso aveva centrato in pieno il campanile utilizzato dai regnicoli come osservatorio di artiglieria. 6 aprile 1916).
“Gavè dimenticà ‘sti due!”(robusto fante dalmatino che seguiva i regnicoli in fuga portando di peso e lasciandoli presso le loro trincee due smilzi soldati italiani rintronati dal fragore della battaglia e dalla paura, prima di rientrare incolume nelle proprie linee. Carso, 1916).
“Se gavèvimo ancora una pagnòca, rivàvimo fin a Milan!”(Guido Marizza, 1890-1974, da Gradisca, riferendosi allo sfondamento di Caporetto arrestatosi purtroppo sul Piave per mancanza di viveri e munizioni).
“Scolta, picio, mama sa che te son qua?” (corpulento signore triestino rivolto ad un bersagliere di bassa statura appena sbarcato dal cacciatorpediniere “Audace”, 3 novembre 1918).
“Quela maledeta barca” (ignoto triestino riferendosi al cacciatorpediniere “Audace” che nel novembre 1918 aveva trasportato le prime truppe italiane).
„Fora de qua, questa xe casa mia!“ (Bepi Petean, rientrato dalla guerra, aveva trovato la sua casa occupata da un comando italiano. Fogliano, dicembre 1918).
“Prin: tornàit a cjasa vuestra, secont: tornàit a cjasa vuestra, tiars: tornàit a cjasa vuestra!”(signora gradiscana rivolta al Prefetto italiano negli anni Venti, che la aveva invitata ad esprimere tre desideri).
“Quale vittoria?” (Monsignor Frančisček Borja Sedej, Arcivescovo di Gorizia, rivolto ad un interlocutore italiano che esaltava la “vittoria” militare italiana del 1918. Gorizia, inizio anni Trenta).
“Anche el nostro tricolor iera bel: gialo e nero!” (reduce asburgico foglianino in risposta a un interlocutore calabrese che, in visita al sacrario di Redipuglia nei primi anni Sessanta, magnificava la bellezza della bandiera italiana).
“Le trincee austriache le iera più nete dele strade de Fojan!”(Giuseppe Petean detto “Bepi Franzot”, reduce austroungarico, nonno di Egeo Petean, Fogliano anni Sessanta).
“Vuatris podèsu soteràmi dulà che uarèsu, tant iò sgarfi fin che no rivi in Austria!” (Giovanni Sonson, 1901-1979, gradiscano, detto “Giovanin Mulinar”).
“Iò uli jessi soteràt insieme cul cuàdri dal nestri Imperator”(Ermenegildo Visintin detto “Gildo Fòliga”, 1894-1983, da Farra, mentre esprimeva le sue ultime volontà).






