Isernia: la memoria viva
Ritrovare la Storia, dentro alle piccole storie di ognuno. Non è facile, quando per tanti e tanti anni si è quasi voluto, anzi, che si è quasi dovuto dimenticare.  Dovuto, perché non si poteva fare altrimenti, perché il timore era tanto, perché certi ricordi facevano male, troppo. E poi, fidarsi ancora… Meglio raccontarle sottovoce, allora, quelle storie, quei giorni, quelle settimane, quei mesi, sottovoce e di nascosto. E andare avanti, cercando di trovare la quadra del presente, fra passato e futuro.
Ma le storie non muoiono, non appassiscono, non si fanno dimenticare. Così è stato per “il fatto” di Isernia, raccontato stavolta proprio lì, fra le stradine del centro storico della città molisana, sopra il selciato delle piazze, dentro alle chiese che, un secolo fa, quelle storie le avevano viste, le avevano vissute. Come se le pietre avessero trovato la voce.
Avevano obbedito al bando che li chiamava a raccolta: perché da noi, nei nostri paesi e nelle nostre valli, si obbediva. C’era un certo timore nei confronti dell’autorità , ma c’era anche l’abitudine alla fiducia, alla buona amministrazione, alle regole che venivano generalmente rispettate da tutti, da chi stava in alto come da chi invece stava in basso.
Avevano obbedito e si erano presentati, tanti, praticamente tutti. Non avrebbero mai potuto immaginare quello che poi si sono trovati a vivere, a patire, a soffrire. Chissà se chi è tornato è riuscito a capire, a farsene una ragione, a perdonare. Di certo, non ha dimenticato. E poi, chi non è tornato… per quanto tempo lo hanno aspettato, a casa, prima di rassegnarsi alla mancanza, al vuoto che restava a tavola, nel letto, nel cuore?
Pensieri che affollavano la mente di tanti, durante i tre giorni passati a Isernia. E che si sono rivestiti di parole, prendendo voce. La voce di chi raccontava la Storia e le storie, come Enzo Cestari, Fabio Gadenz, Walter Kaswalder, Luciana Palla, Giuseppe Ferrandi, Francesca Franceschi, Viviana Brugnara, Lorenzo Conci. La voce di chi invece quella Storia, quelle storie, le ascoltava e, facendole sue, le narrava di nuovo, arricchendole di altre parole, di altre emozioni: il sindaco di Isernia, il vicepresidente della provincia, sua Eminenza il Vescovo.
Ma una voce ha sovrastato tutte le altre, anche se bassa di tono e di volume, con le parole che ogni tanto si fermavano in fondo alla gola e fra i denti, per l’emozione, per il dolore che ancora si sente, a raccontarlo. La voce di Giuliano Turra. Suo padre era qui, a Isernia, rinchiuso nella chiesa di Santa Chiara, a patire il freddo e la fame, a dormire sul pavimento, fra l’odore dei corpi e degli escrementi, mangiato dai pidocchi, accatastato insieme ad altri 170, a cercare di sopravvivere, a voler disperatamente tornare a casa. E Giuliano ha raccontato tutto, ha narrato il dolore e la sofferenza, ma anche la misericordia delle donne di Isernia che avevano portato da mangiare ai prigionieri, a Natale e poi tante altre volte, di nascosto. Che il dolore lo avevano conosciuto anche loro, e questi poveri cristi di soldati austriaci non erano altro che dei figli di madre, figli di tutte.
Chi vuole ascoltare qualcuna delle voci, qualcuna delle storie, vada a cercarsi i servizi del TG Regionale del Molise. (In ARCHIVIO NOTIZIARI, le edizioni delle 19.30 di sabato 6 aprile, dal minuto 8′, e di domenica 7 aprile, il servizio di apertura). Si sentono le voci che raccontano, le note della banda musicale di Faedo, si vedono immagini, visi, emozioni.  Si sente parlare di guerra, di sofferenza, ma anche di speranza e di pace. Si sente parlare di Tirolo, di Heimat, di memoria e di radici. Si sentono le storie, la Storia. Quella che qui, da noi, nei nostri notiziari, sui nostri giornali, anche stavolta si è sentita troppo poco.