Musei del Tirolo: Il cimitero dei Cosacchi a Lienz

Peggetz è appena fuori dal centro di Lienz, pochi minuti in auto attraverso la periferia commerciale, e si arriva in questa piccola frazione. Quasi nascosto fra autosaloni e capannoni, sulle rive della Drau, sorge il minuscolo cimitero cosacco. Sono una quindicina di tombe tutte uguali, su tutte c’è un’iscrizione simile, in tedesco e in caratteri cirillici: Unbekannte Kosaken * cosacchi ignoti – 1.6.1945. Al centro un monumento in pietra, due immagini sacre dalla spiccata aria orientale e, cuore di tutto, una minuscola cappella in legno dall’architettura originale, eretta da pochissimo: all’interno un altare, ancora immagini sacre, fotografie, poche suppellettili. Piccolo, quasi invisibile, ma tenuto con una cura estrema, le croci, le tombe, i tanti fiori.
La storia la raccontano alcuni pannelli, appesi alla recinzione esterna: durante la rivoluzione di ottobre e la guerra civile russa, i cosacchi combatterono dalla parte dello Zar, contro i bolscevichi. La conseguenza fu la persecuzione, lo sterminio, la fuga. Quando nel 1941 la Germania attaccò l’Unione Sovietica, i Cosacchi sognarono la loro liberazione, ed appoggiarono le truppe tedesche: le cose andarono diversamente e la lunga ritirata tedesca divenne anche la loro, non solo dei soldati cosacchi, ma di intere famiglie, donne, bambini, vecchi, religiosi: un popolo intero si ritrovò in quella che gli era stata promessa come una nuova patria, la Carnia con i suoi paesi e le sue valli fra i monti.
La campana del destino suonò nuovamente alla fine del conflitto: la Germania sconfitta, gli alleati legati alle richieste di Stalin, i cosacchi nel piatto delle trattative a Yalta, destinati ad essere “restituiti” all’Unione Sovietica.
Erano oltre 25.000 i cosacchi in Friuli: partirono, una lunga teoria di carri, cavalli, cammelli, masserizie. Era fine maggio, ma il tempo era orribile: molti morirono nell’attraversare il Plöckenpass, fra freddo, tormenta, sentieri gelati dove i carri scivolavano, cadendo nei precipizi e trascinando con sé famiglie intere. Quelli che giunsero sulle rive della Drau furono raccolti in campi, sotto la sorveglianza delle forze di occupazione inglesi. E quando si sparse la voce dell’imminente deportazione, fu tragedia: il carico forzato sui carri bestiame, i tentativi di fuga fermati dagli inglesi a mitragliate, centinaia di suicidi, intere famiglie che si gettarono nelle acque gelide della Drau in piena, o che si impiccarono con i finimenti dei cavalli. Pochi furono i superstiti, chi non morì nel viaggio verso la Siberia, perì nei gulag staliniani.
Ma la storia è soprattutto quella che racconta Frau Pätzold: era una bimba all’epoca, e si ricorda di quei giorni terribili. Vissuta lontano da Lienz per lunghi anni, al suo ritorno trovò il piccolo cimitero quasi in abbandono: i ricordi di bambina guidarono il suo cuore e la cura del piccolo cimitero è diventata quasi una missione di vita. Da allora sono passate stagioni su stagioni, e Frau Pätzold ha compiuto un piccolo miracolo. Il cimitero è un luogo di memoria viva, grazie a lei: incontrarla lì, dove ogni cosa parla di dolore e lacrime, ed ascoltare la sua voce che racconta storia e destini, è un regalo immenso.
